Il Meccanismo europeo di stabilità, nel corso del 2019, è risultato essere una creatura silente e in attesa di eventi nel contesto del panorama economico europeo. Eccezion fatta per il rifinanziamento di obbligazioni in scadenza, infatti, il Mes non ha compiuto operazioni di ampia portata come prestiti agli Stati o rimborsi al mercato, stando a quanto si legge nel recente rapporto annuale, ma, al netto di costi operativi non indifferenti (72 milioni di euro) ha realizzato un utile di 290 milioni di euro.
Da dove proviene questo utile? In larga misura, per 238 milioni di euro, da un vero e proprio regalo da parte della Francia e della Germania, che hanno rimborsato al fondo salva-Stati i tassi d’interesse negativi imposti dal deposito di parte delle sue attività utilizzate (liquidità e strumenti finanziari), pari a 99 miliardi di euro nel complesso, presso le banche centrali di Parigi e Berlino. Entrambi gli istituti programmano un tasso negativo del -0,50%, che avrebbero portato il Mes a un’erosione delle sue disponibilità, ampiamente ricompensate da un rimborso che appare quantomeno discutibile dato che non fa la differenza tra la condizione di perdita e quella di profitto del fondo.
Il fondo salva-Stati è un’assicurazione sulla vita all’asse franco-tedesco, non tanto per le sue disponibilità finanziarie concrete (operativamente Emmanuel Macron lo ha recentemente snobbato) quanto per la sua natura di punto di contingenza degli equilibri economici dell’Unione Europea. La presenza di un meccanismo di vigilanza capace di uno scrutinio forte su Paesi in crisi è per la Germania la contropartita naturale a una Banca centrale europea più “interventista”. Logico dunque che Parigi e Berlino pensino di puntellarlo evitando di eroderne indirettamente le risorse.
Meno logico, invece, che anche l’Italia si sia più recentemente accodata a questa spinta in direzione al rafforzamento delle prerogative del Mes a deterimento delle finanze nazionali. Nella Legge di Bilancio 2020, al comma 537-538 (visionabile nel documento completo a pagina 98) si stabilisce che la Banca d’Italia dovrà contribuire con le proprie risorse ai futuri bilanci del Mes. Dice esplicitamente la legge: “La Banca d’Italia, all’atto del versamento al bilancio dello Stato dell’utile di esercizio, comunica annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro la quota di tale utile riferibile ai redditi derivanti dal deposito intestato al Meccanismo europeo di stabilità” e la riassegna con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, non a caso con Roberto Gualtieri divenuto l’apparato più favorevole al Mes, ad apposito capitolo di spesa per essere riversata nel bilancio del fondo salva-Stati.
Nell’esercizio in corso i milioni di euro messi in campo per il finanziamento al Mes dovrebbero essere circa 77. Una somma che si aggiunge ai 14 miliardi depositati dall’Italia nel capitale del Mes, che ne fanno la terza contributrice d’Europa, un regalo non necessario a un istituto che anche negli anni di maggiore immobilismo ha comunque realizzato profitti e risulta finanziariamente sostenuto dalla possibilità di sfruttare sui mercati il rating pregiato delle sue obbligazioni. La norma preparata dal governo giallorosso segnala una subordinazione non secondaria agli imprimatur franco-tedeschi, del resto propugnata all’opinione pubblica come inclusione dell’Italia nei meccanismi decisionali europei. Lo sviluppo delle settimane di crisi e la questione del Mes “sanitario”, tutt’ora molto problematica, indicano che l’Italia continua ad essere oggetto e non soggetto delle grandi dinamiche europe. E si stenta a capire che senso possa aver avuto una donazione pro bono al Mes non corrisposta da un avanzamento del potere negoziale dell’Italia se non la riaffermazione di un europeismo lirico, di maniera non corrisposto da rafforzamenti concreti dell’interesse nazionale. Che porterebbero a ridurre, e non ampliare, l’area di competenza del Mes.