Joseph Stiglitz non ha affatto moderato il suo pessimismo circa il futuro dell’euro e dell’Unione Europea. L’economista neokeynesiano, critico dell’impostazione tradizionale neoliberista e delle disuguaglianze che secondo i suoi studi la loro applicazione avrebbe prodotto in Europa e Usa, è intervenuto al Forum dell’economia e della finanza di Mosca organizzato dall’Università finanziaria, ai margini del quale ha rilasciato al quotidiano Italia Oggi un’ampia e dettagliata intervista.
Parlando con il quotidiano il docente della Columbia University e Premio Nobel per l’Economia 2001 ha ribadito le tesi già espresse in un libro del 2017, L’euro. Come una moneta minaccia il futuro dell’Europa, in cui Stiglitz ha indicato nel ruolo anomalo svolto dalla Germania la principale fonte di criticità nella costruzione economica europea.
In poche parole, secondo Stiglitz, l’euro è fonte di disuguaglianze, freno alla crescita e costrutto economico funzionale solo agli interessi tedeschi, come del resto già osservato da diversi Premi Nobel di più diversa formazione (da Milton Friedman a Paul Krugman) e, nel nostro Paese, da studiosi di primo livello come Sergio Cesaratto. La Germania, è notorio, sfrutta a suo vantaggio le asimmetrie dei parametri di Maastricht e, forte della sua centralità politico-economica, non esita a imporre rigore e rispetto dei parametri fiscali (3% deficit/Pil e 60% debito/Pil) “barando” al contempo sul terreno mercantile, facendosi beffe di Maastricht violandone le indicazioni in materia di rapporto tra surplus commerciale e Pil.
Nell’intervista a Italia Oggi Stiglitz puntualizza in particolar modo come Berlino debba, a suo parere, tornare a spendere, a investire, frenando la corsa verso il basso della svalutazione interna e dell’austerità. Opzione necessaria ma non sufficiente perché l’Europa riparta. “I paesi come la Germania, per esempio, che hanno più spazio fiscale devono spendere di più”, mentre al contempo la Bce deve concentrarsi maggiormente sull’occupazione e sulla crescita e non solo sull’inflazione, che non è più il problema”. Riecheggia l’invito alla costruzione di una Bce “prestatore di ultima istanza” che in Italia era risonato quando nel 2018 Paolo Savona presentò il suo manifesto per “Un’Europa diversa, più forte, più equa”.
Stiglitz sottolinea poi le mancanze principali a cui l’Europa dovrebbe porre rimedio: attualmente all’Unione mancano “un fondo di solidarietà per la stabilizzazione”, un “sistema comune di assicurazione dei depositi” e uno di “ammortizzatori sociali” anti-disoccupazione. Tutti strumenti tecnicamente difficilissimi da realizzare per le rivalità interne, la scarsa volontà decisionale e l’immobilismo politico che caratterizza l’Europa all’alba dell’era Lagarde-von der Leyen. Ognuna di queste proposte appare di difficile realizzazione e che dire, al confronto, di quella che Stiglitz ritiene la stella polare in campo finanziario, cioè l’unione bancaria?
Perché ha fallito l’Europa di Maastricht, secondo Stiglitz? Perché è fallito il tentativo di delegare il più possibili decisioni e scelte politico-economiche ai mercati e ad attori privati sempre più ingovernabili, costruendo al contempo un’Europa politica estremamente complessa come architettura ma scarsamente capace di decidere e percepita distanti coi cittadini. Stiglitz chiede un nuovo contratto sociale tra il mercato, lo stato e la società civile: “Abbiamo bisogno, rispetto a quel tentativo, di più stato. Abbiamo nuovi problemi, monopoli di valore e potere, l’esigenza di creare nuove regole per i giganti di internet, di affrontare il cambiamento climatico. Vanno prospettate soluzioni nel momento in cui abbiamo testato che il mercato da solo non funziona molto bene, occorrono soluzioni in cui lo stato sia più presente”, non necessariamente come “padrone”, ma con un potere regolatorio e di intervento flessibile e capace.
La considerazione più convinta che si può fare dalle richieste di Stiglitz è che sostanzialmente rimarranno inascoltate. Il Premio Nobel indica con lucidità i problemi dell’Europa e rilancia la sua critica, senza che però nelle istituzioni europee ci sia qualcuno pronto a coglierle e a trarne uno stimolo. L’Europa odierna, l’Europa della nuova Commissione, parte per sopravvivere e galleggiare, non per svolte di ampio respiro. Quelle di cui avrebbe bisogno un continente da anni dedito all’autolesionismo.