Qual è il vero potere delle imprese multinazionali? Sono gli attori decisivi nell’economia contemporanea o la loro influenza è irreggimentata nella fase attuale? Diverse visioni si contrappongono quando si parla del capitalismo delle grandi corporation, protagoniste della globalizzazione e delle sue dinamiche. Come cambia il mondo dell’economia negli anni della pandemia, della competizione tra sistemi-Paese, della disuguaglianza generalizzata su scala globale? Qualsiasi discorso ha in mezzo le multinazionali nel loro ruolo di creatrici di posti di lavoro e innovazione, di pontieri dei legami economici tra Stati e di attori dotati di agende strategiche proprie. Ma anche nella loro versione di grandi attori capaci di eludere il fisco dei Paesi di riferimento, accusati di distruggere economie locali e comunità, perfino di plasmare un uomo a immagine e somiglianza del loro business, cittadino piuttosto che consumatore.
E proprio sul tema delle grandi imprese multinazionali si concentra l’issue mensile del magazine inglese di Inside Over, dal titolo The Power of Corporations.
Cinque autori, cinque visioni di assoluta qualità e competenza per capire in che modo le grandi multinazionali condizionano il nostro sistema economico su scala globale e in che misura, invece, la loro proiezione globale sia una minaccia per la nostra società, la democrazia, i rapporti umani e tra comunità. Cinque articoli accomunati da un filo rosso che li attraversa come un minimo comune denominatore: come come può la politica riconquistare spazio e affermarsi come regolatrice e conduttrice del gioco nel quadro di un sistema che vede potentati economici gestire dati, strategie, piani di lungo periodo con grande facilità e acquisire un potere negoziale notevole nei confronti degli Stati?
Se lo è chiesto Chris Griswold, Policy Director del think tank statunitense American Compass, riguardo al più complesso e controverso sistema di imprese multinazionali oggi esistente, quello del big tech che è alla base della supremazia informatica statunitense su scala globale. Quanto è potente Big Tech? Quanta rilevanza ha nell’organizzare la vita pubblica statunitense? Griswold si dichiara favorevole a un intervento pubblico nello Stato favorevole a preservare la democrazia e l’organicità nei rapporti sociali e di lavoro all’interno della società americana. Ispirato dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dagli economisti italiani Stefano Zamagni e Luigino Bruni, ritiene che la via per il controllo di Big Tech passi per la “civilizzazione” delle forze di mercato e per la stretta regolazione del loro accesso a dati e informazioni personali degli utenti.
Su questo filone anche il professor Nick Srniceck, docente di Digital Economy al King’s College di Londra, che ha spiegato come grandi aziende quali Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft non siano più solo multinazionali ma vere e proprie piattaforme di servizi alimentate dalla gestione di algoritmi e dallo sfruttamento intensivo dei dati degli utenti e della loro profilazione. La pandemia di Covid-19 ha portato queste aziende verso quota 1,5 trilioni di dollari complessivi di vendite nel 2021, una cifra di poco inferiore al Pil dell’Italia, e Srniceck si domanda, pensando principalmente al caso Amazon, in che misura questo gigantismo possa essere sostenibile in un contesto che propugna, a parole, economia di mercato, libera concorrenza e difesa dell’occupazione.
Amazon rappresenta il capitalismo del consumo, dell’istantaneo, della digitalizzazione dei commerci. E per Jeremy Lent questo capitalismo rischia di portare la società umana sull’orlo dell’abisso. Filosofo e pensatore, Lent ha denunciato nel suo articolo gli effetti dell’ideologia neoliberista che sdogana il primato delle multinazionali e dell’economia di mercato sulla politica e la società umana. E scatenato una caccia senza tregua all’accumulazione seriale, alla devastazione dell’ambiente e dei beni comuni, allo smantellamento dei rapporti sociali e comunitari.
In che misura le multinazionali possono essere contenute? Francesco Saraceno non ha dubbi: una leva fondamentale che può essere utilizzata è quella della politica fiscale, che è in grado di contenere i profitti e le prospettive operative delle multinazionali riconducendole nell’alveo del governo pubblico dell’economia. Economista e vicedirettore di dipartimento a Science Po, Saraceno ricorda che dal 1980 al 2020 la tassa globale media sui profitti delle multinazionali è scesa dal 46 al 26%. E che la cooperazione globale per contenere le fughe di capitali verso i paradisi fiscali, di cui recentemente si è iniziato a vedere un primo segno di strutturatura, può essere un primo passo verso una gestione più sostenibile.
Infine, last but not least, Massimo Amato, storico dell’Economia dell’Università Bocconi parla di un tipo molto particolare e discusso di multinazionale: il mercato finanziario in tutta la sua complessità. La Grande Recessione e la pandemia ci hanno insegnato che il potere dei mercati finanziari lasciati liberi di autoregolarsi è destinato a franare e a creare gravi esternalità sociali. E propone di contro un’analisi in cui il ruolo di Stato, banche centrali e mercati finanziari come fattori dell’efficienza economica in un sistema va bilanciato lasciando spazio alle necessità di tutte le parti in causa.
La complessità del mondo si rafforza anno dopo anno e le grandi dinamiche della politica e dell’economia globale lo testimoniano. Ma – questo ci ricordano gli autori – anche laddove si parla di grandi potentati economici dotati di influenza politica e sociale non dobbiamo dimenticarci che anche l’economia e la finanza sono plasmate dal fattore umano. Ed è proprio mettendo l’economia e le imprese al servizio dell’uomo che si potrà capire quanto, in prospettiva, il mondo sarà influenzato dal potere delle corporations.