Il porto di Hamad si è rivelato uno dei principali successi conseguiti dal Qatar nell’ambito del concretamento della propria agenda di grandeur eurasiatique. Motivo per cui Doha ha potuto superare e vincere l’embargo economicida lanciato dal blocco arabo a guida saudita, forgiando nuove rotte attraverso le quali raggiungere mercati non tradizionali, le enormi potenzialità di Hamad sono state pienamente comprese dalla Cina, che ha iniziato a vederlo come il porto del paragrafo indiano-persico della Nuova via della seta marittima.

La storia

Il porto di Hamad sorge su un’area di ventisei chilometri quadrati localizzata nel distretto industriale di Umm Al Houl, che da due anni gode del titolo di zona economica libera. Costato circa 7 miliardi e 400 milioni di dollari – cifra che è riflesso della sua importanza – il porto è stato costruito fra il 2010 e il 2016 con un solo obiettivo: fungere da primo e principale nodo logistico del Qatar.

Entrato in operatività a fine 2016, l’anno successivo, complice lo scoppio della crisi diplomatica con il vicinato arabico, è stato accelerato il già previsto potenziamento, che ha permesso di elevare la quantità massima di beni in uscita e in entrata regolarmente trafficabili. A partire da quel momento, grazie all’effettiva riuscita del piano di contingenza, Hamad è divenuto uno dei porti più geostrategici dell’Asia.

Il ruolo durante la crisi del Golfo

5 giugno 2017: iniziano ufficialmente le ostilità tra Doha e il blocco del Golfo trainato da Riad. La dirigenza qatariota, in luogo di cedere dinanzi allo spettro del collasso economico provocabile dall’embargo proclamato dagli storici partner commerciali, opta per la scelta più aquilina: potenziare le capacità di Hamad, redirezionare il traffico da e verso nuovi mercati, che sarebbero stati trovati primariamente in Cina, Turchia, India e Iran, e inaugurare nuove rotte marittime grazie alle quali aggirare l’ostacolo del divieto d’accesso nei porti di Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

Forte della neutralità dell’Oman durante la crisi, il Qatar quivi riesce a riorientare in soli due mesi una parte del traffico prima traversante il porto di Jebel Ali (EAU) e, in seguito, a stabilire dei flussi regolari con due dei più grandi e importanti porti dell’India: Mundra e Jawaharlal Nehru. Entro settembre dello stesso anno, cioè a soli tre mesi dall’inizio delle ostilità economiche, la dirigenza qatariota avrebbe potenziato a livelli critici la connettività del porto di Hamad con le controparti localizzate in Iran, Malesia, Cina, Turchia e Grecia, diversificando in maniera ottimale il proprio portafoglio commerciale.

Il porto, in breve, ha superato rapidamente la prova della storia e servito l’obiettivo originario: muscolarizzare il Qatar, dotandolo della capacità di resistere con efficacia ed efficienza ai possibili traumi e colpi provenienti dalle relazioni internazionali, incluse le guerre economiche. I numeri sono in grado di spiegare ciò che ai vocaboli non riesce, illustrando in maniera chiara e concisa la profondità della diversificazione del portafoglio e del disaccoppiamento dal blocco a guida saudita:

  • Importazioni dalla Turchia aumentate del 62% fra il 2017 e il 2018, cioè da 630 milioni di dollari a un miliardo, raggiungendo quota un miliardo e 200 milioni nel 2019.
  • Interscambio con il mercato cinese cresciuto del 27% fra il 2017 e il 2018 e conseguimento di un record storico nel 2020: Pechino, terzo collaboratore commerciale di Doha negli anni dell’embargo, ha concluso l’anno al primo posto.
  • Volume dell’import-export con l’India incrementato del 27% fra il 2017 e il 2018, ovverosia da 9 miliardi e 780 milioni di dollari a 12 miliardi e 120 milioni.

A fare da sfondo al progressivo disaccoppiamento dell’economia qatariota dal sistema del Golfo, v’è l’accresciuto interesse rivolto in direzione dei mercati più floridi e in espansione dell’Eurasia, come l’Azerbaigian, del quale il Qatar, durante il primo mese del 2021, è diventato il terzo partner commerciale tra le nazioni dell’area persica.

Hamad domani

La Cina, sul solco del pensiero strategico di Sun Tzu, ha vinto una guerra senza combattere. Insieme ad Ankara, invero, Pechino è la potenza che più di ogni altra ha ottenuto benefici dall’embargo: oltre all’aumento drammatico dell’interscambio con Doha, del quale è divenuta principale partner commerciale, le potenzialità pienamente espresse del porto di Hamad hanno condotto ad una rivalutazione a trecentosessanta gradi del posizionamento qatariota all’interno del paragrafo indo-persico della Nuova via della seta marittima.

L’embargo, in sintesi, ha rivitalizzato il partenariato strategico già in essere tra Qatar e Cina, dando impulso alla finalizzazione di nuovi accordi, dall’energia all’interconnettività, e permettendo al primo di consolidare la propria primazia nel mercato mondiale del gas naturale liquefatto. Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il porto di Hamad, lo scudo che ha protetto l’economia qatariota dal rischio collasso, obbligando il blocco saudita a cessare le ostilità a inizio 2021, e che nei prossimi anni, oramai pienamente espresse e universalmente riconosciute le sue potenzialità, potrebbe realmente entrare nella classifica dei principali nodi logistici dell’Eurafrasia.

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