“Un ripensamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza? No, non occorre nelle sue scadenze e nei suoi obiettivi. Il piano è cruciale per aumentare la crescita permanentemente”. Lo ha detto il premier Mario Draghi nelle repliche alla Camera in vista del Consiglio europeo. Per il presidente del Consiglio “ci sono alcuni aspetti del Pnrr che vanno affrontati” come “l’aumento costi” e dei “prezzi delle materie prime” ma è “in corso” su questo una “discussione in commissione Ue”.  Le speranze di una imminente ripresa dell’economia italiana “si affievoliscono” a causa della guerra russo-ucraina e dello tsunami energetico e “occorre una risposta europea” ma “non occorre un ripensamento del Pnrr nelle sue scadenze e nei suoi obiettivi”, dato che per Draghi “il Pnrr è cruciale per aumentare la nostra crescita permanente al di là degli eventi”.

Draghi riflette a mente fredda su quanto dovrà portare all’attenzione dei leader europei nelle prossime giornate. Il presidente del Consiglio chiamato per gestire, in particolar modo, la corsa italiana a Next Generation Eu di fronte alla sfida posta dal rischio di un fallimento in materia di Giuseppe Conte e del suo governo ora potrebbe governare una sua potenziale correzione in corso d’opera. Cos’è cambiato rispetto al 2021? In primo luogo, i diversi prezzi di materie prime, trasporti, materiali rendono decisamente più complicati i calcoli in materia di sostenibilità delle opere e dei progetti. In secondo luogo, la partita della transizione energetica, cruciale perché destinataria del 37% dei fondi, si è fatta ancora più complicata. Infine, c’è il sospetto che i fondi stanziati siano tutt’ora ridotti rispetto alle reali esigenze dell’economia europea ed italiana in particolare.

Prima di Draghi avevano parlato sullo stesso tema il Commissario europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni e il titolare del Mef Daniele Franco. “Non c’è mai stato tanto bisogno di investimenti pubblici come in questo momento in cui l’economia per la guerra rischia la gelata – ha dichiarato Gentiloni in Conferenza stampa – non dobbiamo incoraggiare la gelata ma fare esattamente il contrario. Spendere adesso questi investimenti è vitale per la nostra economia”. Per Franco “il piano è una costruzione complessa frutto di un negoziato e non può essere cambiato unilateralmente”. In quest’ottica, le parole di Gentiloni, Draghi e Franco permettono di capire quale può essere la traccia delle prossime settimane: non cambiare il Pnrr ma aggiornarlo nel quadro di una riequlibrazione dei costi e degli obiettivi, mettendo inoltre in campo una corsa alla risoluzione dei problemi burocratici che frenano l’applicazione dei lavori.

Come riequilibrare le voci di spesa

Ad oggi, cambiare i fondi tra le varie missioni è tecnicamente impossibile, senza un via libera Ue. Si potrebbe però rimodulare la strategia interna alle varie missioni sfruttando il differenziale tra fondi non ancora messi in veri progetti e quelli già stanziati.

L’Osservatorio Pnrr de Il Sole 24 Ore monitora costantemente i progressi di avanzamento del Pnrr e la corsa dell’Italia per l’utilizzo dei 191,6 miliardi di euro allocati nei vari progetti e nelle varie missioni. E notiamo che in particolar modo ad essere complessa è la gestione della missione più importante, quella della transizione energetica. Elaborando i dati dell’Osservatorio Pnrr Pmi.it commenta che “un primo dato che appare evidente è un forte scostamento tra la percentuale di fondi destinati alla seconda missione, Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, e il loro effettivo utilizzo alla data odierna: 59,5 miliardi allocati (circa il 31% del totale) contro i 2,6 miliardi utilizzati nel 2021 e i 6,2 allocati per il 2022″.

Questo mostra che nel quadro della medesima “missione” i fondi non ancora utilizzati possono essere utilizzati per dare priorità a quei bandi che possono ottimizzare le priorità attuali: una transizione energetica sostenibile, che riduca i prezzi in bolletta del gas e ammortizzi i costi per i cittadini. Per fare un esempio, fondi come i 15 miliardi di euro utilizzati in teoria per l’efficienza energetica degli edifici, legati a un Superbonus ormai esploso fuori da ogni controllo in termini di prezzario delle materie prime, possono essere in parte reindirizzati su nuove reti energetiche, gestione della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, alleviamento della dipendenza energetica dalla Russia.

Per l’economista Alessandra Servidori, in particolare, bisognerebbe “definire rapidamente un vero e proprio Piano energetico nazionale che preveda un nuovo mix di forniture e fonti accelerando la realizzazione degli impianti di rinnovabili sbloccando, nell’interesse nazionale, gli iter autorizzativi, oggi di fatto bloccati in molti ambiti ed aree”. Servidori su StartMag aggiunge che “è indispensabile accelerare l’aumento del prelievo nazionale di gas, anche con nuove esplorazioni, e riattivare gli investimenti previsti sui rigassificatori” e che per raggiungere questi obiettivi “il Pnrr su alcune voci va rimodulato in funzione della necessità di sostenere gli investimenti in campo energetico” mentre anche sulle infrastrutture si potrebbe dare via libera a una prioritaria edificazione di ferrovie e reti di interconnessione che aiutino a gestire in termini meno impattanti e costosi i trasporti merci e persone.

Il ruolo del fondo complementare

C’è poi una seconda strada che consentirebbe, in parte, un margine di ammortizzazione nel caso in cui il governo Draghi decidesse di non cambiare i progetti in corso. Non bisogna dimenticare che ai 191,6 miliardi di euro connessi a Next Generation Eu il governo Draghi ne ha aggiunti, in sede di edificazione del Pnrr, 30 legati al fondo complementare inserito come sostegno dal governo per piani attuativi e progetti legati alle strategie del Pnrr. In totale sarebbero dovuti essere 220 miliardi di euro da utilizzare base per la ripresa dell’economia nazionale nell’ottica della visione del governo Draghi con l’obiettivo di accrescere di 1,4 punti il tasso medio di sviluppo del Pil nel periodo 2022-2026 attuando le riforme e garantendo processi fluidi e capaci di garantire sinergie tra enti e amministrazioni.



Ebbene, in un contesto che lascia presagire addirittura una caduta del nostro Paese in recessione i 30 miliardi del fondo di complemento possono servire a offrire un cuscinetto di fondi già allocati per non perturbare eccessivamente il processo di programmazione che è fortemente già burocratizzato. Non dimentichiamo che a ogni somma di opere è già stata associata una cabina di regia gestionale, un apparato burocratico, un processo di selezione di personale ad hoc. Per le sole opere infrastrutturali, ha notato Francesco Floris su True News, Palazzo Chigi ha nominato 49 commissari che gestiscono 99 miliardi di euro in opere da progettare entro il 2026. Il fondo complementare può aiutare a evitare di creare eccessivo caos aprendo al ristabilimento dell’ordine economico tamponando i rincari.

Battaglia in Ue

La vera chiave di volta sta, in ogni caso, nello strappare in Europa il via libera a nuovi investimenti economici di lunga prospettiva, all’uso intelligente del debito che, come ha ricordato l’economista Massimo Amato, si ponga il problema dei fini: sostenere il Pnrr con un Recovery 2.0 o nuovi piani dal nome diverso sarebbe utile se Paesi come l’Italia si ponessero obiettivi chiari. Tra questi, in primo luogo, l’indipendenza energetica. Ma anche la coesione geoeconomica delle reti, il rilancio del mercato interno e la difesa della produzione industriale possono avere un ruolo. Il Pnrr potrebbe anche essere rimodulato indirettamente con misure specifiche: calmieri dei prezzi delle materie prime, nuovo blocco del Patto di Stabilità, emissione di Eurobond per finanziare spese ad hoc come la transizione in forma mutualizzata sono solo alcune delle opzioni.

Quel che è certo è che bisogna evitare nuovamente che l’Europa ripiombi nella trappola del rigore e dell’austerità come le indicazioni dell’ultimo Eurogruppo lasciano temere: che si parli di rilancio dei Pnrr nazionali, di potenziamento della capacità di copertura dei costi o di nuove misure, quel che è certo è che Next Generation Eu non basta più e gli Stati devono essere liberi di spendere e investire contro la crisi per promuovere il rilancio economico. In tempi di guerra alle porte dell’Europa e di tempesta energetica, arroccarsi sulla rigidità è ciò che di più ci sarebbe di sbagliato. Al governo Draghi e ai suoi alleati europei il compito di dettare la via su questa svolta.

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