La Norvegia, che ha costruito il proprio benessere sull’esportazione del petrolio e del gas naturale siti nelle profonditĂ  del Mare del Nord, negli anni recenti ha avviato un lungo e lungimirante percorso di diversificazione nei settori energia ed economia. Il futuro di Oslo continuerĂ  ad essere scritto grazie ai tesori contenuti al di sotto dei fondali del Nordsjøen, ma la centralitĂ  dei carboni fossili verrĂ  progressivamente meno con l’avanzare della transizione verde.

Il piano

La Norvegia è un caso di petrostato sui generis: l’esportazione dei carboni fossili determina quasi un quinto del prodotto interno lordo, ma le autoritĂ  hanno saputo dar luogo ad un sistema di gestione intelligente dei proventi che ha evitato l’avverarsi di due scenari economici gergalmente noti come il male olandese e la maledizione delle risorse.

Petrolio e gas naturale hanno dimostrato di essere armi a doppio taglio, dal Venezuela all’Arabia Saudita, ma nel caso norvegese la seconda lama è stata cesellata sino ad assumere la forma di un manico, permettendo la costruzione e il mantenimento di una opulenta ma sostenibile societĂ  del benessere. I tempi, però, stanno mutando, complici il cambiamento climatico e l’ascesa dei gruppi di pressione ambientalisti, ragion per cui Oslo ha avviato i preparativi per superare gradualmente la dipendenza da carboni fossili e diventare una potenza-guida del nascente mercato mondiale verde.

La strategia si baserĂ  su un modello giĂ  collaudato, nonchĂ© l’unico percorribile: la perlustrazione meticolosa delle profonditĂ  della piattaforma continentale norvegese al fine di estrarre tutti quei metalli e minerali utili nel processo di transizione eco-industriale (come rame, zinco, cobalto, terre rare) ed, in particolare, nella produzione di batterie per autovetture elettriche, microchip, cellulari e turbine eoliche e nei settori fotovoltaico, militare e tecnologico.

Le ricerche del Direttorato per il Petrolio Norvegese e dell’UniversitĂ  Norvegese di Scienza e Tecnologia, del resto, concordano: dalla mappatura dell’adorno sottosuolo marino del Nordsjøen è emerso come si trovino tante riserve di carboni fossili quanti giacimenti di rame e zinco utili ad accelerare la metamorfosi domestica (nel peggiore dei casi) e/o ad impattare in maniera profonda nel mercato mondiale (nel migliore dei casi). A seconda delle stime, infatti, dalla piattaforma continentale si potrebbero estrarre 6,9–21,7 milioni di tonnellate di rame e 7,1–22,7 milioni di tonnellate di zinco; cifre importanti ma significativamente differenti.

Rame e zinco a parte, gli studi effettuati sul sottosuolo marino hanno appurato anche la presenza di depositi di oro, argento, cobalto, litio e terre rare; beni strategici, specialmente gli ultimi due, la cui rilevanza per gli equilibri mondiali, già oggi considerevole, è destinata ad aumentare notevolmente nei prossimi anni in ragione della loro quantità limitata.

Le preoccupazioni degli ambientalisti

L’obiettivo del governo è di iniziare le esplorazioni a breve, ossia fra il 2023 e il 2024, perciò è stata commissionata una valutazione di impatto ambientale dal cui esito dipenderĂ  la velocitĂ  del dibattito parlamentare (e pubblico) e della concessione delle licenze a scopo di estrazione. L’aspettativa dell’esecutivo è che lo studio conduca a dei risultati positivi, che diano ragione all’agenda politica e rassicurino il movimento ambientalista nazionale, perchĂ© è imperativo che il progetto non naufraghi a causa dei malumori dell’opinione pubblica – la quale verrĂ  consultata sul tema a valutazione conclusa.

Le ricadute nel medio-lungo termine, infatti, sarebbero troppo profonde per essere trascurate. Secondo Rystad Energy, una prestigiosa agenzia di consulenza con sede a Oslo, l’estrazione sottomarina di metalli e minerali potrebbe contribuire alla creazione di almeno 20mila posti di lavoro e all’entrata annuale nel bilancio di circa venti miliardi di dollari verso metĂ  secolo.

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