La Nuova Via della Seta scuote il governo, gli equilibri europei e quelli euro-atlantici. Difficile ancora oggi quantificare il valore degli investimenti e l’influsso che avrà sulle nostre politiche. Ma quello che è certo che la Cina ha deciso di inserire anche l’Italia nel suo sistema geopolitico. Vuole arrivare al cuore dell’Europa. E per farlo, dopo la Grecia e i porti spagnoli, ha bisogno anche di quelli italiani. In particolare di due terminali: Genova e Trieste.

La motivazione è prettamente politica? No, perché dietro la decisione di Pechino di puntare sui due porti italiani c’è anche una questione economica, strategica e anche eminentemente geografica. I due porti sono infatti molto più vicini al centro dell’Europa di altri terminali logistici non solo italiani ma anche europei.

Il colosso asiatico Cosco ha acquisito il Pireo trasformando Atene nella porta sudorientale dell’Europa per la Nuova Via della Seta. E la Cina ha poi messo gli occhi su Valencia e Bilbao in Spagna per crearsi una porta occidentale. Ma adesso, sempre a sud, serve uno sbocco centrale. E l’Italia, con Genova e Trieste, ne ha due da offrire. Ed è un segnale inequivocabile del fatto che Pechino non guardi all’Italia per sfondare nel mercato del nostro Paese. Ma punta dritto al nucleo dell’Unione europea.

Lo ha spiegato anche l’ex ministro Giulio Tremonti in un’intervista al Corriere della Sera: “La Cina non viene in Italia per il nostro mercato domestico, ma per quello europeo. E Genova e Trieste sono molto più vicine al cuore dell’Europa del Pireo, già conquistato da Pechino”. Un progetto chiarissimo quindi. E che fa capire anche il motivo per cui sia l’Unione europea che gli Stati Uniti hanno lanciato l’allarme.

Si tratta di una sfida enorme dal punto di vista strategico ed economico. E l’Italia si trova al centro di uno scontro mondiale con cui bisognerà fare i conti nel prossimo futuro. C’è una nuova Guerra Fredda in corso: e questa non è più fra Mosca e Washington, ma precisamente fra Washington e Pechino. Con l’Europa che, ancora una volta, si trova divisa fra due schieramenti.

Dal punto di vista strategico, è chiaro che per l’Italia la scelta non sia affatto semplice. Genova e Trieste sono due porti fondamentali nel nostro sistema infrastrutturale, ma che necessitano di investimenti, espansioni, e soprattutto di soldi e tecnologie adeguate alle sfide del prossimo futuro. La Cina, in questo senso, offre prospettive allettanti. Ed è evidente che rispetto ad altri partner europei e anche a quello americano, Pechino abbia già fatto capire di avere pronto un piano concreto per soddisfare le esigenze del sistema portuale italiano. Cosa che invece l’Occidente, oltre ai “no” ha fino a questo momento evitato di garantire.

Per esempio, sul fronte ligure, non può passare in secondo piano il fatto che, come riporta Il Corriere della Sera, il presidente dell’Autorità portuale di Genova e Savona, Paolo Emilio Signorini, dovrebbe firmare “un memorandum per la costituzione di una società con il più grosso gruppo di costruzioni cinese, quello delle ‘quattro C’, Cccc (Chinese Communications Construction Company) per la realizzazione di alcune grandi opere necessarie al sistema logistico ligure, un progetto che vede al centro il rilancio del porto di Genova”. E tutto dovrebbe avvenire proprio il 23 marzo, in concomitanza con la vista del leader cinese Xi Jinping in Italia.

L’importanza di questi investimenti è chiara. Ed è anche per questo che da Palazzo Chigi hanno iniziato a chiedere garanzie a Stati Uniti e Unione europea. A Roma conoscono perfettamente i rischi politici, per la sicurezza interna e a livello internazionale, ma Pechino si presenta con soldi e tecnologie adeguate a rispondere ai bandi della Regione liguria e del comune di Genova.

Ballano lo spostamento della diga foranea, l’ampliamento di tutta l’area Fincantieri di Sestri Ponente, la costruzione di una nuova banchina per realizzare navi da crociera. E Fincantieri ha già ottimi rapporti con il gigante asiatico Cssc (China State Shipbuilding Corporation). E non a caso da tempo Pechino, pur nel silenzio generale, preme per la realizzazione della Tav Torino-Lione. Con un allaccio a Genova, trasporterebbe su rotaia le merci in giro per l’Europa.

Stessa questione per Trieste, dove gli Stati Uniti hanno da tempo posto il veto a qualsiasi arrivo dei cinesi sul modello Pireo. Un incubo per il blocco atlantico. Il collegamento fisico, economico e politico di Trieste con tutta l’area balcanica e danubiana preoccupa molto la Nato e Washington, che temono che il porto giuliano diventi non solo un altro punto di arrivo di un enorme flusso di merci e capitali cinesi, ma che vada a rappresentare un vero e proprio cuneo di Pechino nell’Europa centrale.

Il capoluogo giuliano, con Zeno D’Agostino a capo dell’Autorità portuale, è stato sempre favorevole all’arrivo di capitali e investimenti cinesi. Ma con alcuni limiti fondamentali. D’Agostino ha tenuto a ribadire che “è falso dire che svendiamo l’Italia o il porto di Trieste ai cinesi”. E l’assessore regionale alla Sicurezza e Autonomie locali, Pierpaolo Roberti, in quota Lega, ha affermato: “Diversamente da quanto succede in altri Stati, non possiamo vendere pezzi di porto, possiamo dare concessioni. Quindi quello che è successo alla Grecia con il Pireo non può accadere nel porto di Trieste. Dopodiché dobbiamo vigilare e stare attenti: accettiamo tutti gli investimenti, ma dobbiamo poterli gestire noi”. Il problema è capire quanto strategicamente la Cina sia disposta ad attendere e soprattutto quanto l’Italia abbia effettiva libertà di manovra una volta arrivato il gigante asiatico.

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