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L’interminabile round negoziale del Consiglio europeo ha partorito, al termine di quattro giorni e quattro notti di trattative, un Recovery Fund di compromesso nella cui definizione, si può dirlo, a conti fatti l’Italia non ha perso (o non duramente come i fatti lasciavano intendere), mentre l’Olanda di Mark Rutte è da annoverare tra i vincitori.

L’Aja, assieme agli altri Paesi frugali (ma sarebbe meglio definirli “avari”) spunta un riequilibrio dei fondi di NextGen Eu a favore dei prestiti e un taglio degli aiuti a fondo perduto. Dal piano negoziale scompare Solvency Support Instrument da 26 miliardi di euro che era stato pensato per salvare le imprese strategiche in difficoltà a causa della pandemia di Covid-19, mentre, come fa notare Il Fatto Quotidiano, vengono completamente depauperati i principali programmi di investimento: “i tagli penalizzano anche i fondi Nge destinati a potenziare HorizonEurope, il programma per la ricerca, che passano da 13,5 a 5 miliardi. Anche InvestEu, erede del piano Juncker, passa da 30,3 miliardi a 2,1 miliardi”. Tutto questo mentre i rebate, i rimborsi che i Paesi pro-austerità reclamavano, saranno confermati e rafforzati.

L’Italia, a conti fatti, evita il potere di veto dell’Olanda e dei suoi alleati sulla concessione degli aiuti a fondo perduto, perde 3,5 miliardi di sussidi a fondo perduto e ne guadagna 35 di prestiti. Ora il nuovo equilibrio parla di 209 miliardi di euro destinati all’Italia, dei quali 81,4 come trasferimenti diretti di bilancio e 127 come prestiti. Sul primo fronte prima di cantare vittoria bisognerà verificare, come ha sottolineato Guido Salerno Aletta, che la quota di contribuzione in eccesso richiesta all’Italia per il bilancio europeo 2021-2027 non ecceda i contributi a fondo perduto. Ma il vero nodo sono i prestiti.

Come per uno strano scherzo del destino, l’aumento di prestiti del Recovery Fund copre pressoché interamente la quota di 36 miliardi di euro che l’Italia avrebbe potuto ricevere attingendo al Mes. La Commissione, forte di un rating pregiato sui mercati, può finanziarsi a bassi costi e dunque c’è da attendersi un pacchetto di prestiti a basso tasso d’interesse. I prestiti saranno a lungo o lunghissimo termine, da da rimborsare fra il 2026 e il 2056.

Resta da capire un tema fondamentale: quanto approfondite saranno le tabelle di marcia e le riforme richieste ai governi nazionali beneficiari del finanziamento. Perché sul fronte del Recovery Fund è fondamentale proprio comprendere la ratio che guiderà lo scrutinio comunitario. Sull’iter di approvazione dei piani nazionali, scrive Il Secolo XIX,alla fine l’ha spuntata Mark Rutte, che ha incassato il cosiddetto “freno di emergenza” per poter congelare l’erogazione dei fondi verso un Paese in caso di non rispetto della tabella di marcia delle riforme. Resta al Consiglio il potere di approvare (a maggioranza qualificata) i piani nazionali”. Niente diritto di vetoma una sorta di “golden power” sulla fattibilità dei programmi richiesti ai Paesi membri. Con un piano che prevede anche una remissione in brevissimo tempo in caso di mancate riforme per quanto riguarda i sussidi.

E proprio analizzando il complesso impianto del fondo promosso dal Consiglio Europeo si capisce come, una volta di più, i termini della questione per l’Italia non cambieranno: servirà presentare un progetto nazionale ben rodato e coeso, piani di lungo periodo e iniziative strategiche sull’utilizzo dei fondi per non trasformarli nell’ennesimo vincolo comunitario. Giuseppe Conte deve capire che la vittoria non è misurabile nell’aver ottenuto i fondi, ma sarà data dalla capacità di utilizzarli rompendo eventuali trincee che i capofila dei “falchi” opporranno per censurare l’afflusso di denaro verso il nostro Paese. Ricordando che i prestiti saranno un debito verso la Commissione, fatto che potrebbe spostare gli equilibri verso Bruxelles se la partita non sarà giocata nel migliore dei modi.

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