Nel 1947, mentre si stava ricostruendo il mondo in seguito alla distruzione della Seconda guerra mondiale, alcune decine di pensatori neoliberisti si incontrarono in un resort di lusso in Svizzera per fondare la Mont Pelerin Society, un’organizzazione volta a diffondere l’ideologia del neoliberismo in tutto il mondo. Le loro idee – ovvero che il libero mercato dovesse dominare tutti gli aspetti della società, che ogni regolamentazione economica andasse smantellata, e che la libertà individuale dovesse eclissare qualsivoglia altra considerazione di correttezza, giustizia, o benessere collettivo – venivano considerate estreme, al tempo. Tuttavia, nel corso dei tre decenni successivi e grazie a dei ricchi finanziatori, queste idee hanno man mano consolidato una rete di accademici, uomini d’affari, economisti, giornalisti e politici nei centri di potere di tutto il mondo.

Quando poi la crisi di stagflazione degli anni Settanta mise in cattiva luce la tradizionale economia keynesiana, ecco che arrivò il momento della loro opportunità. Nel 1985, con al potere seguaci del mercato libero quali Ronald Reagan e Margaret Thatcher, i neoliberisti diedero inizio ad una campagna per trasformare sistematicamente ogni aspetto della vita umana in uno spazio di mercato sfrenato, dove tutto poteva essere comprato e venduto al miglior offerente senza alcuno scrupolo morale. Fiaccarono i sindacati, distrussero le reti di sicurezza sociale, diminuirono le tasse per i più abbienti e abolirono ogni regolamentazione, compiendo un massiccio trasferimento di ricchezza dalla società in generale ad un’élite ben più ristretta.

Attraverso il loro controllo sui governi, la finanza, gli affari e i media, i seguaci del neoliberismo sono riusciti a trasformare il mondo in un sistema globalizzato fondato sul mercato. Il trionfo del neoliberismo ha portato alla più grande ineguaglianza della storia, in cui le 26 persone più ricche al mondo possiedono le stesse ricchezze di metà dell’intera popolazione mondiale. Ha inoltre posto le condizioni affinché le grandi aziende multinazionali potessero diventare la forza trainante del mondo, con più potere rispetto a qualsiasi governo o Paese. Attraverso la loro influenza sui processi legislativi hanno praticamente eliminato qualsiasi limite alla loro crescita, ai permessi delle loro industrie o alla competitività del loro terreno di gioco. Le grandi multinazionali vengono incorporate da altre ancora più grosse, creando imponenti colossi in grado di dettare da sé le regole per le proprie attività. Tra le cento economie più grandi al mondo, 69 sono aziende.

Sul palcoscenico globale odierno dominato delle aziende, nazioni e città competono le une contro le altre per attrarre investimenti privati nelle loro regioni, rinunciando a tassazioni, regolamentazioni e protezioni a tutela dei lavoratori nella speranza di generare posti di lavoro o  sviluppare infrastrutture. Nella maggior parte dei Paesi, i confini tra direttori aziendali e rappresentanti di governo sono diventati talmente sottili da sembrare quasi inesistenti.

Le aziende transnazionali controllano la maggior parte del mondo finanziario, manifatturiero, agricolo e commerciale, e vengono invitate di continuo ad intervenire all’interno di trattative internazionali, accertandosi che i propri interessi rimangano al sicuro

Un nuovo soprannome che sta emergendo dai titani aziendali del World Economic Forum è “stakeholder capitalism”: un termine invitante, che sembra implicare come non siano gli investitori, bensì altri attori a ricoprire un ruolo chiave nella definizione delle priorità aziendali; ma in realtà si riferisce ad un processo profondamente anti democratico, per cui le aziende stanno assumendo ruoli sempre più dominanti all’interno della governance mondiale. Questo mese il Food systems summit dell’Onu è stato fondamentalmente rilevato dalle stesse grandi multinazionali, tra cui Nestlé e Bayer, che sono in gran parte responsabili degli stessi problemi di cui il summit avrebbe dovuto occuparsi, il che ha portato ad un vasto boicottaggio da parte di centinaia di civili e gruppi indigeni.

Se questa suprema forza globale avesse obiettivi benevoli, allora in tal caso si potrebbe ipotizzare di concederle di mantenere tale controllo sulle attività umane; ma purtroppo non è il caso, e si tratta invece del caso opposto. L’obiettivo comune delle multinazionali di tutto il mondo è quello di monetizzare l’attività umana e ciò che rimane della ricchezza offerta dalla natura nella maniera più rapida ed efficiente possibile. Lo scopo prioritario di quella che è oggi la più potente forza istituzionale al mondo si trova dunque in conflitto con la prosperità del pianeta terra e del futuro dell’umanità.

Un motivo fondamentale dell’avido comportamento delle multinazionali è il loro impulso a massimizzare il valore degli azionisti al di sopra di ogni altra cosa. Benché all’interno dell’atto costitutivo di una qualsiasi azienda non vi sia alcun esplicito requisito che obblighi a farlo, un secolo di precedenti legali ha radicato questo principio nei comportamenti delle grandi aziende al punto da diventare di fatto lo standard operativo. Ne risulta che, se le aziende fossero delle persone, sarebbero considerate degli psicopatici, totalmente privi di interesse per i danni che stanno provocando nell’inseguimento dei propri obiettivi.

Un inseguimento senza sosta, alla ricerca del profitto e della crescita economica sopra ogni cosa, ha spinto la civiltà umana in una direzione a dir poco terrificante. La crisi climatica è il pericolo più evidente: le attuali policy mondiali ci stanno guidando verso un aumento di oltre 3 gradi entro la fine del secolo, e nel frattempo gli esperti climatologi pubblicano tragici avvertimenti secondo cui amplificare le retroazioni climatiche potrebbe peggiorare di molto la situazione rispetto a tali previsioni, mettendo dunque a repentaglio anche il semplice proseguimento della nostra civiltà.

Ma anche se la crisi climatica venisse in qualche modo domata, la continuazione di una crescita economica senza freni nei decenni a venire ci poterebbe faccia a faccia con un sacco di altre minacce esistenziali. Ad oggi la nostra società utilizza il 40% in più oltre il limite della sua capacità di sostenibilità. Del nostro pianeta stiamo esaurendo in fretta le foreste, gli animali, gli insetti, i pesci, le riserve di acqua dolce e persino il terriccio di cui abbiamo bisogno per coltivare i nostri campi. Abbiamo già violato cinque dei nove limiti planetari che definiscono la sicurezza dello spazio operativo umano, eppure si prevede che il Pil globale quantomeno raddoppi entro la metà del secolo, il che provocherebbe conseguenze devastanti e potenzialmente irreversibili.

La presa di potere aziendale sull’umanità è così onnicomprensiva che è diventato difficile immaginare qualsiasi altro possibile sistema globale. Eppure, le alternative esistono. In tutto il mondo, le cooperative gestite dai lavoratori hanno dimostrato di poter essere tanto efficienti quanto le aziende – o anche di più – senza porre l’arricchimento degli azionisti al primo posto. In Spagna la cooperativa Mondragon, con fatturati che superano i 12 miliardi di euro, è un’esempio di come sia possibile replicare questo modello di organizzazioni su scala sempre più ampia.

Esistono anche delle modifiche legali e strutturali che possono essere fatte nelle aziende per riallineare i loro sistemi e valori con il benessere umano. La patologia della massimizzazione del valore degli azionisti potrebbe essere trattata rivedendo gli atti costitutivi, affinché tengano in considerazione sì gli interessi del profitto, ma anche delle persone e del pianeta, e rispondano a delle rigorose autorità esecutive. Realizzare questo sistema di valori aziendali alternativo è già possibile, qualificandosi come una benefit corporation o certificandosi come una B-Corp. Ma poiché non è obbligatorio farlo, tuttavia, su scala mondiale non c’è stato alcun impatto. Se invece la tripla linea di fondo del profitto, delle persone e del pianeta fosse un requisito imposto severamente a tutte le aziende al di sopra di una certa dimensione, ciò porterebbe in fretta ad un significativo mutamento delle priorità aziendali.

Nell’attuale ambiente politico globale, l’idea di limitare la supremazia aziendale sulla nostra società potrebbe sembrare scoraggiante. Tuttavia deve prendere piede con il chiaro ed esplicito riconoscimento del fatto che l’obiettivo ultimo delle aziende è ad oggi in conflitto con il benessere del pianeta ed il prosperare del futuro dell’umanità. Il modello neoliberista, che ha portato la nostra civiltà sull’orlo del disastro, deve essere sostituito da un sistema economico differente e basato sui veri valori edificanti della vita, prima che sia troppo tardi.

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