Chi lo spiega all’allevatore affiliato al consorzio caseario cremonese o emiliano che il frutto del suo lavoro sarà danneggiato dall’asse industriale franco-tedesco? Che i dazi a stelle strisce a cui la World Trade Organization ha dato semaforo verde giudicando illegali i sussidi tedeschi, francesi, spagnoli e britannici al consorzio Airbus colpiranno il parmigiano reggiano e i prodotti agroalimentari italiani in generale?

La Wto ha infatti approvato la richiesta americana di poter imporre dazi sull’ importazione di beni dall’ Unione europea per circa 7,5 miliardi di dollari. Meno dei 21 miliardi inizialmente richiesti dall’amministrazione Trump ma abbastanza da poter provocare dolori non indifferenti all’Europa. Anche alle economie non coinvolte nel contenzioso ma trascinate in campo dalla comune rappresentanza italiana di fronte alla Wto.

E l’Italia rientra in questa categoria. Il nostro Paese ha il secondo più alto surplus commerciale europeo verso gli States dopo la Germania e finirà inevitabilmente colpita più della Francia patrona di Airbus. “Come si fa a spiegare a un produttore di Grana italiano che deve pagare i dazi per gli aiuti ad Airbus, come scotto all’appartenenza a un’unione in cui ognuno fa quello che vuole in politica estera, per esempio bombardando la Libia, o in economia violando le regole europee sui surplus commerciali interni?”, si chiede Paolo Annoni su Italia Oggi. “O l’Europa è di tutti, ‘dei popoli’, ma allora bisognerebbe rivedere radicalmente i meccanismi politici interni oppure è una prigione in cui alcuni sono usati come un ostaggio umano”. La citazione della violazione delle regole commerciali non è casuale perché chiama in causa la Germania portabandiera dell’austerità.

La Germania ha uno strano approccio selettivo al rispetto delle regole comunitarie. È inflessibile, dura e draconiana sul deficit, sull’output gap e sul rigore sui conti. Lassista e lasca quando si parla di commercio, laddove con un surplus commerciale superiore all’8% del Pil Berlino viola sistematicamente qualsiasi regola di Maastricht sul tema. Dividendo della posizione dominante in Europa è la possibilità di scegliere i settori in cui sdoganare il moralismo luterano verso i “colpevoli”, travolti dalla retorica sull’assonanza nella lingua di Goethe tra le colpe (Schlud) e i debiti (Schluden), e quelli in cui invece restare sornioni. Il commercio è uno di questi ultimi, in cui Berlino può permettersi di barare su due fronti. Da un lato, il mercantilismo tedesco frena l’economia europea e la deflazione interna della Germania abbassano il costo-opportunità di aumentare le esportazioni di Berlino. Dall’altro la comune rappresentanza europea al Wto fa sì che sia tutta l’Europa a pagare per i dazi legati alle pratiche scorrette tedesche qualora si ravvisasse una problematica. Come successo nel caso Airbus.

Tra gli economisti italiani Sergio Cesaratto è stato tra i pochi a denunciare con rigore accademico e intellettuale questa asimmetria. Nel suo recente lavoro Chi non rispetta le regole? Cesaratto ha trattato in maniera esaustiva e precisa la scelta tedesca di “barare” sistematicamente sul rispetto delle prescrizioni dei trattati europei. Secondo Cesaratto la Germania e gli altri Paesi in forte surplus commerciale, come l’Olanda, “hanno approfittato dell’indebitamento e delle importazioni dai Paesi periferici per accrescere le proprie esportazioni e […] ora violano la regola del gioco fondamentale di aiutare il riequilibrio all’interno dell’unione monetaria espandendo la propria domanda interna”. Aggiungendo al danno la beffa della ritirata in mezzo al gruppo di fronte alle sanzioni internazionali. Spiegarlo al produttore di grana colpito dai dazi statunitensi sarà un’impresa ardua.





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