La prossima visita di Xi Jinping all’estero, la prima da due anni a questa parte dopo l’autoisolamento del leader cinese a causa della pandemia di Covid-19, potrebbe coincidere con una trasferta in Arabia Saudita. Sembrava che il capo di Stato cinese dovesse incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman entro la fine di agosto ma, ad oggi, non sono ancora arrivate novità in merito. I rumors continuano tuttavia a susseguirsi, così come cresce l’attesa di scoprire quale sarà il primo viaggio di Xi al di là della Muraglia. Da quando è scoppiata l’emergenza Sars-CoV-2, il presidente della Repubblica Popolare Cinese si è limitato a partecipare ad incontri virtuali e lunghe telefonate, pratiche interrotte soltanto dalla straordinara ospitata di Vladimir Putin a Pechino, in occasione dei Giochi Olimpici Invernali di febbraio. Lo scorso 29 luglio, invece, Xi ha lasciato la Cina continentale per fare tappa ad Hong Kong, e lo ha fatto dopo ben 893 giorni trascorsi nella bolla sanitaria cinese.

Nel caso in cui Xi Jinping dovesse davvero scegliere l’Arabia Saudita come primo viaggio istituzionale dell’era post Covid (anche se in realtà in Cina le restrizioni non sono ancora terminate), si tratterebbe di un importante segnale da non sottovalutare. Anche perché l’asse Pechino-Ryad è caldissimo e ricco di “lavori in corso”. Lavori, sia chiaro, che potrebbero, da un lato, portare nuova linfa vitale alla strategia globale cinese, consentendo al Dragone di attuare una sorta di unione d’intenti con i sauditi, e dall’altro potenziare i piani operativi dell’Arabia.

In mezzo ai due estremi c’è spazio anche per un messaggio indiretto agli Stati Uniti, sempre più in difficoltà nel tutelare i propri interessi in Medio Oriente sfruttando il partner saudita. Vuoi per il nodo Khashoggi, vuoi per l’ambigua posizione di Ryad sulla guerra in Ucraina, e ancora, per i conseguenti disaccordi sulla produzione di petrolio e per altri problemi di sicurezza, il risultato finale di queste differenze di vedute tra statunitensi e sauditi si è palesato nella mancata stretta di mano tra Joe Biden e bin Salman, durante il loro incontro avvenuto a Gedda il 2 agosto.

A quanto pare, invece, l’Arabia Saudita sarebbe pronta ad accogliere Xi con tutto lo sfarzo concesso all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2017. Se così dovesse essere, per Biden si tratterebbe di un brutto smacco diplomatico, nonché una conferma di come i rapporti tra Washington e Ryad siano ormai tesissimi. Tim Lenderking, inviato speciale degli Stati Uniti per lo Yemen, ha però sgomberato il campo da simili ipotesi: “Gli Stati Uniti sono un partner vitale non solo per l’Arabia Saudita, ma per ciascuno dei Paesi della regione”.



L’asse Pechino-Ryad

Sarà anche vero quel che sostiene Lenderking, ma in sottofondo è impossibile non rendersi conto delle manovre diplomatiche dell’Arabia Saudita, pragmatica nel dialogare con la Russia e ben lieta di accogliere le opportunità economiche offerte dalla Cina. Da questo punto di vista, il timore più grande degli analisti è che Ryad possa smarcarsi da Washington per saldare un’asse con Mosca e Pechino. Certo, rimane pur sempre il “nemico” Iran a fungere da comune denominatore tra i sauditi e gli Usa, ma fino a quando sarà sufficiente, per la Casa Bianca, fare leva soltanto su Teheran per far restare il principe bin Salman nella propria orbita?

Nel frattempo, come detto, tiene banco il possibile viaggio di Xi. Fonti anonime saudite sostenevano che l’incontro tra il leader cinese e quello saudita sarebbe avvenuto a fine agosto. Da Xi, bin Salman non si aspetterà domande fastidiose sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, ma opportunità per accrescere i legami con la Cina. Nell’ottica del presidente cinese, scegliere Ryad come prima destinazione all’estero dal gennaio 2020 potrebbe consegnare a Pechino due vittorie diplomatiche. La prima: il Dragone otterrebbe relazioni cordiali e di alto livello con un fornitore chiave di energia. La seconda: rinsaldando l’asse con l’Arabia, i cinesi possono pensare di proiettare la propria influenza nella regione, dipingendosi, agli occhi dei Paesi del Medio Oriente, partner più affidabile e migliore degli Stati Uniti.

D’altro canto, Xi può vantare uno stretto rapporto con Ryad, agevolato dalla dipendenza della Cina dal petrolio saudita. Come se non bastasse, nel 2016 le due nazioni hanno siglato un “partenariato strategico” legato ad una “cooperazione energetica stabile a lungo termine”. Ebbene, quell’accordo ha ripagato, visto che nel 2020 il commercio bilaterale tra Cina e Arabia Saudita ha toccato i 65,2 miliardi di dollari. Giusto per fare un paragone, nello stesso anno quello tra Usa e Arabia, dominato dalle vendite di petrolio saudita e dagli acquisti del Regno di automobili e aerei made in Usa, si è fermato a 19,7 miliardi.



Unione d’intenti?

Non è finita qui, perché dal punto di vista geopolitico la Cina ha trasformato l’Arabia Saudita in un “partner di dialogo” nell’ottica dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, un gruppo di sicurezza e sviluppo regionale avviato dalla Cina, i cui membri includono Kazakistan, India, Russia, Kirghizistan, Tagikistan, Pakistan e Uzbekistan. Inoltre, dopo il viaggio di Biden a Gedda, la compagnia statale petrolifera saudita, Aramco, ha firmato un memorandum d’intesa con la cinese Sinopec per cooperare in aree quali “cattura del carbonio e processi di idrogeno”.

Vale la pena accendere i riflettori su questo accordo, passato in sordina ma strategicamente rilevante. La collaborazione, infatti, si basa sulle joint venture esistenti tra i due colossi energetici, come Fujian Refining and Petrochemical Company (FREP), Sinopec Senmei (Fujian) e Petroleum Company (SSPC) in Cina, e Yanbu Aramco Sinopec Refining Company (YASREF) in Arabia Saudita. L’accordo, ancora più importante da sottolineare, fa parte e aggiorna l’accordo relativo alla Belt and Road Initiative originariamente stipulato tra i due Paesi nel 2017. Altresì interessanti sono le parole rilasciate dal presidente di Sinopec, Yu Baocai. “Aramco è un partner molto importante di Sinopec. Le due società hanno dato vita a proficue collaborazioni e sviluppato una profonda amicizia nel corso degli anni. La firma del MoU (memorandum of understanding ndr) introduce un nuovo capitolo della nostra partnership nel Regno. Le due società si uniranno per rinnovare la vitalità e segnare nuovi progressi della Belt and Road Initiative e Saudi Vision 2030”.

Già nel 2016, in una tavola rotonda tenutasi a Pechino durante la visita di bin Salman in Cina, e intitolata “Saudi Vision 2030 and the Belt Road Initiative: Together for a Promising Future”, si parlava della fusione d’intenti della Belt and Road Initiative cinese e della Vision 2030 saudita. Adesso quell’idea, a quanto pare mai del tutto abbandonata, potrebbe tornare in rampa di lancio. Vision 2030, del resto, è il progetto abbracciato da Ryad per ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dal petrolio, diversificare la sua economia e sviluppare settori di servizio pubblico come sanità, istruzione e turismo. E gli investimenti e gli investitori portati in dote dalla Bri potrebbero essere più che utili alla causa di bin Salman.

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