In Italia le critiche sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e sulla proposta di riforma dell’architettura istituzionale del suo trattato fioccano da ogni parte. Sono arrivate alle prime pagine dei giornali quelle di Matteo Salvini che, a detta del premier Giuseppe Conte, ha partecipato ai tempi dell’esecutivo gialloverde a tavoli tematici sulla riforma del “fondo salva-Stati”. Ben più interessanti, invece, quelle di esponenti del mondo economico e giornalistico di più diversa formazione.

Paolo Savona, presidente della Consob, ha affondato in maniera netta, e critiche esplicite sono arrivate da Banca d’Italia per voce del governatore Ignazio Visco. L’economista marxista Vladimiro Giacchè ha, in audizione alla Camera, smontato la riforma del Mes, ma lo stesso ha fatto l’ex capoeconomista di Confindustria Giampaolo Galli, membro dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli.

La critica più feroce è però arrivata dal condirettore di Milano Finanza ed ex alto funzionario dell’Antitrust Roberto Sommella che in un editoriale sul suo quotidiano ha preso una posizione decisa: sotto accusa in particolare i nuovi meccanismi di controllo con cui il fondo salva-Stati interverrebbe per verificare la compliance tra i parametri di debito e finanze pubbliche di un Paese e le possibilità di interventi preventivi a sostegno del rafforzamento degli stessi.

“Gli strumenti messi a disposizione dalla nuova troika formata dal board dell’Esm, dalla Commissione Ue e dalla Bce, rischiano infatti di avere condizioni così stringenti da rendere il meccanismo inefficace”, fa notare Sommella nel suo editoriale. “I criteri per accedere alla linea di credito precauzionale condizionata potrebbero addirittura lasciare fuori proprio gli Stati che ne avrebbero maggior bisogno. Come offrire le medicine a chi è sano e negarle invece a chi sta per morire”. Nei giorni in cui la Grecia celebra l’apoteosi della macelleria sociale e dell’austerità, che ha portato il surplus di bilancio al 3,5% mentre servizi e sanità sono allo sfascio, un paragone calzante.

I Paesi che ora come ora potrebbero far richiesta al Mes per assistenza sarebbero, secondo il think tank Bruegel, solo dieci su 19 nell’area euro. Resterebbero fuori quei Paesi (Italia, Francia, Spagna e Grecia tra gli altri) che non presentano soddisfatte le condizioni di due anni di deficit sotto il 3% del Pil e debito sotto il 60%. Non a caso la madrina della riforma è la Germania merkeliana, che non avrebbe d’altro canto problemi a ricorrevi qualora uno choc colpisse il suo sistema ancora tutto sommato solido. Così è infatti designata l’architettura del Mes riformato che sarà discusso nelle prossime settimane: a premunire dal dissesto Paesi in salute colpiti da situazioni estemporanee gravi.

Come potrebbe essere, ad esempio, la Germania in caso di deterioramento definitivo del sistema bancario incentrato su Deutsche Bank. Sempre più in rotta e ora intenta a giocare la carta dell’automazione per tornare su livelli elevati di redditività, a prezzo di migliaia di posti di lavoro, mentre il titolo è precipitato a 6,60 euro ad azione (-60% di capitalizzazione dal 2007). Mentre Commerzbank, che ha dimezzato il suo patrimonio, non se la passa meglio. La riforma del Mes è dunque silurata anche da un convinto europeista come Sommella, che al sostegno per le istituzioni comunitarie unisce però un’attenta capacità di analisi dei problemi della governance economica europea. La tesi dell’editorialista è chiara e netta: la Germania con questa riforma punta a salvare solamente se stessa. A mascherare da interesse europeo il suo interesse nazionale, come già successo a più riprese in passato. Riusciranno a rendersene conto nel governo di Roma?

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