Nella piccola isola di Taiwan, 24milioni di abitanti distribuiti su una superficiale pari a 36.197 chilometri quadrati, poco più piccola di quella del Portogallo, viene prodotto il 60% di tutti i semiconduttori mondiali, il 90% dei più avanzati. Nel 2017 le tre principali aziende taiwanesi, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc), United Microelectronics Corp (Umc) e Powerchip Technology Co) hanno realizzato, da sole, il 70% della fabbricazione globale dei circuiti integrati.

Stiamo parlando di numeri di assoluta importanza, che non possono certo essere messi in disparte nella recente crisi globale che coinvolge Cina, Taiwan e Stati Uniti. Anche perché, qualora dovesse scoppiare un conflitto armato tra i tre attori citati, a quel punto il settore andrebbe in tilt, con enormi ripercussioni per tutta la catena di approvvigionamento mondiale.

E qui entra in gioco la fresca visita sull’isola di Nancy Pelosi, la stessa che ha scatenato le ire cinesi, spingendo Pechino ad effettuare esercitazioni militari senza precedenti al largo delle coste taiwanesi. Ebbene, accanto a incontri ampiamente sottolineati, come quelli con la presidente di Taiwan, Tsai Ing Wen, e con vari attivisti locali, la speaker della Camera Usa ha incontrato Mark Liu. Non una persona qualsiasi, ma il presidente di Tsmc, ovvero il più grande produttore di semiconduttori di Taiwan e del mondo.


La variabile dei semiconduttori

Prima di procedere, vale la pena spiegare qualcosa in più su Tsmc. È, come detto, la più grande fonderia di semiconduttori al mondo. Tutti i big della tecnologia fanno affari con lei, compresi Apple e Huawei. Nel maggio 2020, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company ha accettato di costruire una struttura da 12 miliardi di dollari in Arizona.

L’incontro tra Pelosi e Liu, oltre a far capire quanto gli Stati Uniti considerino vitali i chip per la propria economia e sicurezza nazionale, è avvenuto con una tempistica sospetta. Secondo quanto riportato dal Washington Post, i due hanno discusso dell’attuazione del Chips and Science Act, approvato poco prima che la terza carica istituzionale statunitense atterrasse a Taipei. Questo disegno di legge “fornisce” 52miliardi di dollari di sussidi federali alle fabbriche di chip dislocate sul territorio nazionale, con l’obiettivo di incentivare le società produttrici a stabilire o mantenere i loro poli produttivi in America.

Si da inoltre il caso che l’incontro sia arrivato proprio mentre Tsmc sta costruendo la citata fabbrica di chip in Arizona e mentre sta pensando di espandere il progetto, con l’intenzione di includere altri stabilimenti nello stesso sito. Lo scorso giugno fonti taiwanesi spiegavano inoltre che Tsmc stava assumendo ingegneri statunitensi, con l’intenzione di inviarli a Taiwan per una formazione, e che il ritmo di costruzione della struttura in Arizona sarebbe dipeso dall’approvazione dei sussidi federali da parte del Congresso Usa. Adesso che è arrivato il semaforo verde, la strada sembrerebbe in discesa.

Qual è l’importanza dei semiconduttori? Questi minuscoli componenti elettronici sono i cervelli che alimentano tutta l’elettronica moderna. Giusto per fare un paio di esempi, gli Stati Uniti utilizzano chip prodotti da Tsmc nelle apparecchiature militari, inclusi i caccia F-35 e i missili Javelin, e nei supercomputer dei laboratori nazionali statunitensi. Anche le principali aziende di elettronica di consumo si affidano a una varietà di semiconduttori prodotti dall’azienda taiwanese.

Il ruolo di Tsmc

In una rara intervista concessa alla Cnn, Mark Liu ha lanciato due messaggi alla Cina. Il primo: nel caso in cui Pechino dovesse invadere Taiwan non ci sarebbero vincitori e tutti perderebbero. Il secondo: le persone dovrebbero trarre lezioni dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina. “La fornitura di chip è un business fondamentale a Taiwan, ma se dovesse scoppiare una guerra, probabilmente il chip non è la cosa più importante di cui dovremmo preoccuparci. Questa eventuale invasione rappresenterebbe la distruzione dell’ordine mondiale basato sulle regole. Il panorama geopolitico cambierebbe totalmente”, ha spiegato Liu.

La Cina rappresenta circa il 10% degli affari di Tsmc, attenta a rifornire soltanto il mercato dei consumatori. “Se loro (la Cina ndr) hanno bisogno di noi, non è una brutta cosa”, ha dichiarato, aggiungendo che un’invasione militare da parte della Cina renderebbe inutilizzabili le fabbriche della sua azienda e danneggerebbe anche Pechino. Liu è stato ancora più esplicito: “Nessuno può controllare Tsmc con la forza, perché è una struttura di produzione sofisticata che dipende dalla connessione in tempo reale con il mondo esterno”, come l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone per materiali, prodotti chimici e software di ingegneria. Detto altrimenti, la Cina dovrebbe pensarci due volte prima di lanciare un’offensiva su Taiwan. Eppure la situazione è complessa. E, a quanto pare, ogni opzione, compresa quella militare, è sul tavolo.