Quando, nel settembre 2019, il governo Conte II si formò come coalizione di Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico, tra le motivazioni ricorrenti che hanno spinto le due formazioni, a lungo rivali, a coalizzarsi furono addotte, non irrealisticamente, i timori per l’economia. Andare ad elezioni con il rischio di un Parlamento ingovernabile, venti di recessione globale in arrivo e la minaccia di un esercizio provvisorio per la legge di bilancio avrebbe rappresentato un salto nel vuoto non drammatico ma sicuramente problematico. Il Movimento Cinque Stelle, sostituendo il Pd alla Lega come partner di governo, intensificò l’accenno sui temi progressisti della sua piattaforma: salario minimo, economia verde, ampliamento del welfare. Il Pd invece partì fin dall’inizio con l’obiettivo di giocare sul tavolo europeo i suoi forti accreditamenti per strappare ciò che al governo gialloverde non era riuscito: maggior spazio per deficit e investimenti. Conte si fece addirittura ratzingeriano nel suo discorso di insediamento, parlando di nuovo umanesimo e di sviluppo di lungo periodo.

Un anno dopo le aspettative sono state profondamente disattese. I dodici mesi di governo giallorosso, resi sicuramente problematici dalla pandemia di coronavirus, non hanno in alcun modo segnato una svolta economica per l’Italia, né un cambio di prospettiva. Non l’aveva segnata certamente l’era gialloverde, sulla cui politica economica valgono tuttora gli appunti dell’ex ministro Paolo Savona (che lamentava il deficit di investimenti), la cui manovra tutto ha fatto fuorché sfasciare i conti pubblici come i critici sostenevano; ma nella prassi e nella strutturazione delle risposte economiche l’era M5S-Pd segna sicuramente un passo indietro. Reso ancora più doloroso dal fatto che la confusione nelle risposte si è intensificata nel momento del massimo cimento, la pandemia.

Conte e il neo-ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, membro d’alto rango del Pd, hanno subito provato a ottenere dall’Ue un superdeficit come dividendo dell’esclusione di Matteo Salvini dal governo: risposta rispedita al mittente. Il falco Valdis Dombrovskis ha guardato con attenzione una manovra conclusa con un deficit al 2,2% in cui l’unica misura sostanziale è stata l’attivazione del cuneo fiscale. La “troika” dem formata da Gualtieri, Enzo Amendola (ministro degli Affari Europei) e Paolo Gentiloni (commissario agli Affari Economici dell’Ue) ha dettato la linea europeista che a Roma ha garantito ben pochi dividendi. Non aumento del capitale politico, non il superamento delle assurde logiche dell’austerità che ben presto la pandemia ha contribuito a rendere obsolete.

Ma il tasto dolente è arrivato proprio in occasione della risposta economica al Covid-19. Conte ha millantato una potenza di fuoco di 400 miliardi di euro di garanzie pubbliche su prestiti e aiuti alle imprese, ma nonostante il super-lavoro di Sace e delle banche il governo è riuscito, fino a luglio, a garantirne meno di 30. Il Tesoro ha azzeccato la mossa del Btp Italia per finanziare il deficit necessario a contenere un devastante contagio economico, ma non l’ha sfruttata appieno: con 190 miliardi di euro di domanda di Btp in eccesso il trimestre conclusosi a giugno non ha visto Roma essere in grado di premiare la rimanente fiducia di investitori e cittadini sulla tenuta del Paese. Gli investimenti sono latitati, Conte ha elevato agli altari e poi dimenticato la commissione guidata da Vittorio Colao e in Europa, dopo aver difeso la trincea degli Eurobond senza fare proposte in materia, ha dovuto accettare un Recovery Fund più simile alle prescrizioni franco-tedesche che ai desiderata italiani. Ovvero: aiuti e prestiti consistenti (207 miliardi di euro per l’Italia) ma a patto della sottoscrizione di forti clausole di sorveglianza e importanti condizionalità riguardo riforme e piani strutturali da concordare con Bruxelles. Più vincolo esterno, in altre parole.

E anche sull’uso del deficit c’è di che eccepire. Il governo attende come manna dal cielo i fondi europei per finanziare investimenti in digitale, infrastrutture, economia circolare, ma non ha un piano di massima per strutturarli. Si è scelta la strada di bonus una tantuum o sussidi a pioggia, senza rafforzare le misure anti-disoccupazione e anti-povertà, promuovere iniziali piani di investimento, uscire dalla logica delle misure-bandiera o di provvedimenti francamente incomprensibili come i bonus vacanze o il bonus per biciclette e monopattini ridicolizzato da media e social. Il tutto senza dimenticare cavalli di ritorno come il Ponte sullo Stretto di Messina, che il ministro delle Infrastrutture Paola de Micheli propone di rendere addirittura pedalabile.

“Non compromettiamo con scelte errate la speranza per chi verrà dopo di noi di godere di condizioni per lo meno pari di quelle di cui noi abbiamo usufruito”, ha ammonito al forum di Cernobbio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato sottolinea come “oggi viviamo condizioni irripetibili” e momenti di estrema gravità. La politica economica giallorossa è stata fatta di spot, di iniziative confuse ed estemporanee, senza obiettivi politici o sociali di sorta. “In caso di inattività le nuove generazioni ci domanderanno perché una generazione” che ha goduto di prosperità “non ha realizzato infrastrutture necessarie per la crescita e riforme necessarie”, ha aggiunto Mattarella. I dati drammatici dell’economia per il 2020 e la risposta tentennante ci portano al problema di fondo di una maggioranza nata senza altro collante che non fosse il timore delle urne e la necessità di procedere a una mole di nomine strategiche e trovatasi nel mezzo della crisi più importante dell’ultimo decennio. Senza una visione di lungo periodo del Paese e dell’economia è difficile immaginare anche efficaci misure di respiro più corto.

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