Il Financial Times entra a gamba tesa nel dibattito europeo sulla risposta alla crisi economica da coronavirus e prende nettamente posizione a favore di un maggior interventismo della Banca centrale europea e contro l’opzione di affidare al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o agli Eurobond il futuro dell’Unione.

Martin Wolf, storica firma del quotidiano della City, la cui parola può essere assimilata al pensiero dominante nella sua redazione, è netto nella stroncatura del fondo salva-Stati: “Il Mes sembra irrilevante, perché la sua potenza di fuoco è troppo ridotta. Può contare solo il fatto che può mettere in moto le Outright Monetary Transactions della Bce”, create nel 2012 da Mario Draghi, che però sono state sorpassate dagli eventi. Il Pandemic Emergency Purchase Programme, il piano di acquisto titoli da 750 miliardi di euro, si somma a misure già esistenti per aumentare la potenza di fuoco dell’Eurotower a 1.100 miliardi di euro in tutto il 2020.

E gli eurobond (o “coronabond“) che fine fanno? Per Wolf, il problema è in primo luogo politico. La rissa politica in Europa scatenatasi sul tema rende difficile pensare possano venire approvati.

Per Wolf sarà la Bce a doversi sobbarcare l’onere e l’onore di guidare l’Europa verso l’uscita dalla crisi. Per questo motivo l’editorialista del Financial Times è apertamente favorevole a un incremento dei poteri operativi dell’Eurotower e del suo raggio d’azione nell’economia dell’Eurozona. La ratio del suo discorso è facile da intuire. Wolf prende le mosse dal rischio di una depressione prolungata per tutta l’Europa, dato che non sembrano attendibili le previsioni di coloro che ritengono plausibile una recessione destinata a finire col secondo trimestre del 2020. L’idea di un crollo generale del Pil del 10% per il 2020 e di un’ulteriore decrescita nel 2021 non è improbabile, e questo porterà all’apertura di voragini interne ai bilanci dei Paesi europei (l’Italia prevede un rapporto debito/Pil oltre il 150%) facendo crescere il problema del “rischio da ridenominazione”.

La Bce, in altre parole, potrebbe collassare se un’ondata di default spingesse i Paesi europei all’uscita dal circuito della moneta unica, o se si verificassero fasi di scarsa chiarezza nella sua leadership come accaduto a marzo con le improvvide parole di Christine Lagarde sugli spread, fonte di una dura spirale speculativa.

Wolf cala dunque l’asso invitando la Bce a completare la sua funzione di banca centrale pienamente degna di questo nome aprendo al ruolo di prestatore di ultima istanza e alla monetizzazione dei deficit dei Paesi membri dell’Unione. “La Bce è chiamata ad agire come se fosse la banca centrale nazionale di ogni Paese membro. Da emittente della seconda riserva di valuta più affidabile al mondo, ha le capacità per farlo”. La richiesta si muove in filigrana con l’oramai celebre intervento di Draghi sul quotidiano di Martin Wolf, in cui il predecessore di Christine Lagarde aveva approvato l’idea di scatenare contro la crisi i deficit nazionali.

La monetizzazione del deficit è del resto stata già intrapresa da Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. In diversi Paesi è allo studio o già operativa l’helicopter money: ma prima di arrivare a tanto, basterebbe che la Bce garantisse la spesa pubblica dei Paesi europei per consentire loro di muoversi con maggiore agio contro la crisi. Al confronto, Mes ed Eurobond diventerebbero alternative ugualmente marginali: e le parole dell’autorevole quotidiano della City ce lo fanno intendere.