Nel giugno 2010 i leader europei fissarono, dopo una negoziazione tra Consiglio d’Europa e Commissione, cinque obiettivi-chiave dell’agenda che avrebbe dovuto guidare l’azione dei Paesi entro il 2020 su temi quali l’occupazione, l’istruzione, l’ambiente, l’inclusione sociale e la lotta alla povertà. Stando a quanto riportato da Openpolis, se da un lato vi sono temi in cui i Paesi europei hanno rispettato l’Agenda Europa 2020 (aumento della spesa in ricerca e istruzione, contenimento delle emissioni di gas serra), dall’altro vi è un fronte in cui il fallimento è oramai certificato e irreversibile entro l’anno prossimo: la lotta alla povertà.
Si stima che dal 2008 al 2017 solo 4 milioni di persone sono uscite da questa condizione rispetto ai 20 milioni prefissati. E anche i più recenti dati Eurostat non portano tale soglia oltre i 7 milioni. I poveri europei erano 116 milioni nel 2008 e sono ora 109,2. E questo nonostante un abbattimento generalizzato dei tassi di povertà assoluta nei Paesi dell’Est Europa (Polonia e Ungheria innanzitutto).
Specie per le economie più avanzate, è opportuno considerare soprattutto un altro dato: il più diffuso rischio di povertà relativa e esclusione sociale, che attualmente coinvolge decine di milioni di europei. Un dato particolarmente importante perché contribuisce all’ascesa delle disuguaglianze economiche sempre più percepibili nel divario crescente tra i grandi centri urbani e le periferie, i cui riflessi hanno una marcata manifestazione negli eventi elettorali. L’indice di Gini, che misura la distribuzione della disuguaglianza in una scala da 0 a 100, è ora a 30.6 punti: analogo a quello del 2008.
Per “povertà relativa” si intende la condizione in cui si trova chi percepisce un reddito inferiore al 60% della mediana nazionale. Per “povertà assoluta”, invece, l’incapacità di sostenere almeno una di una serie di spese considerate benchmark di riferimento, dal pagamento delle bollette alla possibilità di acquistare cibi come il pesce. Colpisce che in una fase storica in cui la povertà relativa risulta sempre più rilevante e incidente di quella assoluta l’Italia abbia un’assoluta emergenza su questo secondo fronte.
“L’Italia, quarta nazione più popolosa dell’Ue, è quella che ha la più vasta popolazione di poveri assoluti ed è uno dei pochissimi Paesi dove la situazione è peggiorata”, fa notare con allarme Avvenire. I poveri assoluti italiani “erano 4,4 milioni nel 2008, sono saliti fino al picco di 8,7 milioni nel 2012 e poi sono scesi fino ai 5,1 milioni dello scorso anno”. I dati dell’anno in corso potrebbero fornire miglioramenti da questo punto di vista per l’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, ma non incrementi sostanziali tali da definire una fine dell’emergenza: il reddito di cittadinanza può forse alleviare le condizioni di povertà assoluta, ma a prezzo della stabilizzazione di una situazione di continua dipendenza e di povertà relativa permanente.
Si materializza il “fantasma della povertà”, ovvero il progressivo deterioramento delle condizioni di vita delle fasce più deboli e svantaggiate della popolazione (anziani, disabili, giovani non qualificati, lavoratori dei settori “sconfitti” dalla globalizzazione) indicato già nel 1995 da Edward Luttwak, Carlo Pelanda e Giulio Tremonti come la principale minaccia alle società occidentali in un omonimo saggio. E questo fantasma è vicino a materializzarsi, mese dopo mese, anche per effetto delle politiche di austerità che costringono i Paesi a non poter imporre cambi di direzione, investimenti produttivi, piani di rilancio dell’economia.
alla Grande Recessione in avanti l’ascensore sociale si è bloccato, la destrutturazione del mercato del lavoro in diversi Paesi, tra cui Germania e Italia, consegna lavoratori e disoccupati a un sistema in cui dominano precarietà e incertezza, le reti sociali riescono sempre meno a contenere il consolidamento di questa situazione che vede chi sta in basso staccarsi dal resto del plotone. E la politica è sempre stata la grande assente, salvo preoccuparsi quando le disuguaglianze producono risultati elettorali in controtendenza coi desideri delle élite politiche tradizionali. Il decennio in arrivo si aprirà col fardello, sempre più gravoso, della gestione del fallimento più duro di Europa 2020.