Valdis Dombrovskis non è nuovo a critiche dirette contro la politica e il sistema economico italiani. L’ex premier lettone, attualmente vicepresidente della Commissione von der Leyen e “zar” delle politiche economiche comunitarie, si è inserito nel dibattito sulla crisi di governo italiana ammonendo Roma perché le sue dinamiche interne non mettano a repentaglio la marcia di avvicinamento al Recovery Fund.

“Il lavoro sul Recovery Plan italiano è in corso e spero che l’instabilità politica in Italia non metta a repentaglio questo lavoro perché l’Italia è il maggiore beneficiario e bisogna assicurarsi che i fondi arrivino, sono molto importanti per la ripresa in Italia”, ha detto l’esponente della Commissione al termine della più recente riunione dell’Ecofin in cui ha pungolato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a fare il massimo perchè le riforme e i progetti italiani vadano a compimento.

Indipendentemente dall’opinione che si può avere sul teatrino politico che divide Matteo Renzi e Giuseppe Conte e sulle grane che agitano l’esecutivo giallorosso, è difficile non considerare problematiche le critiche di Dombrovskis, che ha aggiunto le sue puntualizzazioni sull’Italia: per lui nel piano del nostro Paese “c’è ancora molto lavoro da fare, per esempio definire le stime dei costi, gli obiettivi finali equelli intermedi, e affrontare le raccomandazioni Ue”. Una stroncatura del piano che rappresenta una mina su qualsiasi futura azione del presente o del futuro esecutivo italiano.

L’uscita di Dombrovskis, dicevamo, è problematica per un’ampia serie di questioni.

In primo luogo, con modi non ispirati al fair play, porta un esponente istituzionale dell’Ue a inserirsi, implicitamente, nelle dialettiche politiche interne di un Paese membro. E poco importa, in questo contesto, che il Recovery Fund fosse uno dei principali motivi di rottura tra Renzi e Conte. Più volte, felpatamente, la Commissione ha fatto capire all’Italia che il piano sul Recovery era insoddisfacente e che Roma necessitava di un cambio di passo. Ma esplicitare apertamente mancanze e debolezze del piano a poche settimane dalla sua presentazione concreta, per quanto legittime possano essere, significa precipitare un macigno sul percorso politico dell’esecutivo.

In secondo luogo, diretta conseguenza di questa azione è un sostanziale processo di marginalizzazione del commissario europeo italiano, Paolo Gentiloni, che si trova nella scomoda e difficile posizione di dover scegliere come bilanciarsi tra il suo superiore diretto e l’esecutivo che lo ha nominato in Ue nel contesto della valutazione del piano italiano. Dialettica che altri commissari (vedasi il francese Breton) non hanno timori a risolvere a favore dell’esecutivo nazionale, ma che più volte l’ex premier italiano ha sciolto scegliendo l’Unione Europea. Usurpando parte delle competenze di Gentiloni, limitatosi a commentare timidamente di non volersi inserire nelle questioni nazionali, Dombrovskis ha di fatto tolto potere negoziale all’Italia.

In terzo luogo Dombrovskis conferma la pericolosa abitudine a dire frasi scomposte e infelici in momenti critici per il sistema politico italiano. Lui e Pierre Moscovici, ai tempi della commissione Juncker, durante il braccio di ferro negoziale col governo gialloverde si distinsero più volte per dichiarazione equivoche, critiche esplicite all’Italia e velate minacce pronunciate, dall’alto dei ruoli istituzionali da loro ricoperti, a mercati aperti, durante delicate trattative e nel corso di complessi processi politici. Creando tensioni scontate dall’Italia in termini di fiammate dello spread e di difficoltà politiche in fase negoziale. Oggi, fortunatamente, con il sostegno Bce attivo così non può essere, per quanto Conte non se ne sia reso conto, ma l’accortezza politica suggerirebbe a Dombrovskis un atteggiamento più ragionato.

Chiaramente Roma da tempo riceve pressioni politiche da Bruxelles per accelerare sul fondo per la ripresa e presentare progetti funzionali in tempi brevi. Ma c’è differenza tra la dialettica politico-istituzionale quotidiana e l’uscita scomposta di un alto esponente della Commissione nel pieno di una crisi politica. Dettare le priorità a un governo o a un parlamento estero è un atto di grave scortesia istituzionale. Una prassi a cui da tempo Dombrovskis, l’uomo a cui piaceva ventilare l’idea di calare la scure della rigorosa censura sui nostri conti pubblici, ci ha purtroppo abituati.