Nonostante la pandemia di Covid-19 la finanza mondiale, nel 2020, ha vissuto un anno ruggente, trainata soprattutto dalle prospettive dei titoli del settore tecnologico che hanno portato le borse specializzate in materia, primo fra tutti il Nasdaq statunitense, a record di capitalizzazione.

In entrambe le sponde dell’Atlantico la finanza continua il suo comportamento precedente la pandemia: sfrutta i tassi bassi con cui il denaro è emesso dalle banche centrali, cavalca l’onda degli investimenti azionari e dell’indebitamento privato, gonfia i listini sulla scia dell’entusiasmo collettivo. Nelle scorse settimane avevamo però sottolineato come negli Stati Uniti la tendenza stava iniziando ad acquisire caratteristiche problematiche: l’inflazione dei listini sta divenendo una questione a sé stante, slegata da qualsiasi dinamica di mercato. L’esplosione di aziende come Tesla, il decollo del big tech e le prestazioni anomale di società sbarcate da poco in borsa come AirBnb segnalano che c’è, nel sottobosco del sistema finanziario Usa, qualcosa che comincia a non funzionare correttamente e che scommesse e speculazioni stanno dopando al rialzo il gioco borsistico.

Nel sistema stanno iniziando ad aprirsi alcune crepe rischiose e si stanno già verificando casi di “bolle” che si sgonfiano con la medesima velocità con cui si erano dilatate. Prendiamo il caso di un’azienda rimasta a lungo sulla cresta dell’onda nel 2020, la californiana QuantumScape. Fondata nel 2010 a San José, QuantumScape è un’azienda specializzata nella produzione di batterie a ioni di litio per auto elettriche che ha avuto una spinta notevole alla sua attività e ai suoi finanziamenti lo scorso anno.

Essendo dal 2012 in collegamento col colosso tedesco dell’auto, Volkswagen, nel 2018 l’azienda ha ricevuto dal gruppo di Wolfsburg 100 milioni di dollari di finanziamento, a cui se ne sono aggiunti ulteriori 200 lo scorso giugno. Compagnia che per anni non ha realizzato un solo utile e ha a lungo presentato un unico prototipo, QuantumScape è sbarcata a Wall Street a novembre nel pieno del dibattito sul futuro dell’auto elettrica, prima della doccia fredda delle dichiarazioni critiche del top management di Toyota.

Il fondatore del gruppo, Jagdeep Singh, ha posto in essere un’ambiziosa operazione di corsa alla quotazione basata sulla promozione di un brevetto innovativo di batteria, fondato sull’utilizzo di elettroliti solidi, e non liquidi, nei tradizionali accumulatori a ioni di litio. Annunciando che grazie a una ceramica speciale di sua invenzione le batterie di QuantumScape potrebbero garantire una capacità di caricamento dell’80% in un quarto d’ora. Un annuncio che secondo Singh avrebbe aperto la strada a tecnologie capaci di rendere le auto elettriche la forma dominante di trasporto nel mondo e che ha inflazionato il valore del gruppo, sbarcato in gruppo col sostegno del fondo Kensington Capital Acquisition e della Qatar Investment Authority e capace di raggiungere in poche settimane, al 22 dicembre, una capitalizzazione di 50 miliardi di dollari. Paragonabile a colossi quali Intesa San Paolo o Eni, per un gruppo che tutti gli analisti sostengono non aver mai superato i 100 milioni di dollari di fatturato.

Parliamo della cosiddetta fase “mania” dell’investimento finanziario, in cui il prezzo di un asset decolla senza alcun razionale ragionamento sulla realtà dei fatti. Prima che sia il normale corso delle cose ad imporsi: Billy Wu, docente all’Imperial College di Oxford e tra i maggiori esperti al mondo di batterie, ha dichiarato al Financial Times che produrre in laboratorio un materiale simile a quello prospettato da QuantumScape è un esperimento estremamente più semplice che trasporre su larga scala in termini industriali progetti di questo tipo. Nessuno mette in dubbio la buona fede delle ricerche di QuantumScape, ha fatto notare Wu, però chiaramente passare dal risultato di accrescere il potenziale di una singola batteria (da 260 a 400 Watt/Kg all’ora) a quello di farlo per un motore composto da decine di accumulatori implica una ricerca ulteriore.

Un’eventualità, quest’ultima, dimenticata da chi si è lanciato con appetito da leone a investire sull’azienda californiana dopo il suo sbarco in borsa, salvo poi ritirarsi precipitosamente: tra il 22 dicembre e il 4 gennaio, quando è parso palese che le prospettive di redditività non erano immediate, QuantumScape ha perso due terzi circa del proprio valore e il prezzo delle azioni è sceso da 131 agli attuali 48 dollari per unità. Un esempio di rapido sgonfiamento che ha fatto meno male del solito al settore finanziario perchè, anche con gli attuali livelli di capitalizzazione, la compagnia non può non dirsi rafforzata sul piano della visibilità e potrà continuare sul lungo periodo le sue ricerche. Ma quello che è successo per QuantumScape può succedere in grande per le società cavalcate da azionisti desiderosi di vedere utili e ritorni astronomici da azioni inflazionate nel loro valore. E proprio il campione americano dell’auto elettrica, Tesla, incarna la bolla in espansione meglio di qualunque altra impresa, essendo le sue azioni cresciute del 743% nel 2020. Un’esplosione nell’impero di Elon Musk sarebbe, al confronto, ben più fragorosa.