Una catena sempre più lunga, che anello dopo anello è arrivata al limite fisico della sua resistenza e rischia di spezzarsi. Questa la situazione vissuta nell’anno della pandemia dal settore della logistica, di cui Amazon è, mese dopo mese, sempre di più l’azienda monopolista per eccellenza. Su scala globale tra gennaio e ottobre 2020, Amazon ha aggiunto 427.300 lavoratori al suo organico, sfondando quota 1,2 milioni, e come ricorda Il Post ha toccato quote di ricavi e crescita degli utili senza precedenti anche grazie all’espansione del business in Italia. “L’Italia”, si nota, “è stato uno dei paesi dove Amazon è cresciuta di più”, complici le prospettive di crescita più ampie: “prima della pandemia era uno dei paesi europei in cui l’e-commerce era più indietro, ma durante il lockdown ha fatto acquisti online il 75% degli italiani (nel 2019 era stato il 40%, rispetto per esempio all’87% dei britannici)”, e il Politecnico di Milano ha stimato in oltre 22 miliardi di euro il valore dell’e-commerce nel Paese nel 2020.
Questo sviluppo ha portato con sé la necessità di strutturare economie di scala notevoli e a ovviare alla mole crescente di lavoro caricato sulle piattaforme come Amazon con un progressivo scaricamento dei margini fino agli ultimi anelli della catena, i titolari delle consegne porta a porta. Algoritmi complessi dettano i tempi delle consegne agli autisti e movimentano la logistica nei centri di Amazon: “Nel nostro settore non ci sono lavoratori diretti, ma i tempi del lavoro sono dettati dal loro algoritmo”, hanno dichiarato a Il Fatto Quotidiano alcuni dipendenti del colosso di Seattle in occasione del primo sciopero nazionale che ha visto coinvolti circa il 70% degli addetti nella giornata del 22 marzo. Uno sciopero che ha rivelato un profondo fattore di frizione e, potenzialmente, di crisi nel vitale settore della logistica: il logoramento degli addetti.
Il trend è più o meno il seguente: il boom degli acquisti online ha, in un certo senso, coperto il problema del calo del potere d’acquisto dei cittadini delle grandi economie occidentali sulla scia della crescita delle opportunità di shopping in saldo e in serie; i giganti della logistica come Amazon, che hanno nei servizi cloud e nell’ingegneria finanziaria la fonte più ampia dei loro profitti, possono permettersi queste scontistiche e queste azioni lavorando su marginalità bassissime e estraendo dal fattore lavoro buona parte di quanto necessario a non lavorare in perdita; questo si traduce in un progressivo logoramento della forza-lavoro, sottopagata rispetto alle necessità d’impiego, e in una dipendenza paragonabile a un vero e proprio “cottimo digitale” degli addetti alle imposizioni degli algoritmi. Un’assonanza inquietantemente anticipata con Candido, il rider incatenato alla sua professione dell’algoritmo in una futuristica città distopica dell’omonimo romanzo di Guido Maria Brera e del collettivo I Diavoli. Ma anche un’anticipazione dei rischi che si possono sdoganare ora che l’economia prevede una fase di rimbalzo caricata dalle politiche espansionistiche in atto su scala globale.
Mauro Bottarelli su Business Insider ha sottolineato l’importanza dei “danni che settimane intere di lockdown hanno inferto a livello globale alla catena di fornitura delle merci, la quale adesso si trova costretta a fare i conti con il problema opposto. Soprattutto negli Usa, infatti, quella supply chain così strizzata ora dovrà rapportarsi con una ripresa economica che più di un analista definisce chiaramente supercharged” dai piani di stimolo dell’amministrazione Biden.
Questo mentre in Europa e in Italia la prossima riapertura delle attività commerciali appare pronta a “mettere in discussione il monopolio indiscusso dell’e-commerce, unica risorsa di shopping nei lunghi mesi di lockdown e quindi aprire insperati scenari di riconquista di quote di mercato per il ramo retail tradizionale”. Vedere quota della catena logistica delle merci esclusa dalle forniture per l’e-commerce e, parallelamente, assistere a una perdita fisiologica di quote di mercato per il ritorno alla normalità spingerà aziende come Amazon sempre più in là sul fronte del contenimento dei costi. E questo ha preoccupato dipendenti e operatori del gruppo, che si sono sentiti schiacciati e hanno fatto fronte comune in un’ampia coalizione che travalica interessi di parte e corporativismi: una sorta di versione “logistica” del duello popolo contro élite, potremmo dire, con i forgotten men della logistica e dell’approvvigionamento intenti a confrontarsi con un management taylorista, intento a regolare i processi con l’applicazione di algoritmi di controllo delle attività e dei tempi, ed estrattivista laddove concentra nelle sue mani buona parte dei frutti dell’incremento dimensionale dell’attività aziendale.
Il capitalismo delle piattaforme incarnato dal gruppo di Jeff Bezos, insomma, si scontra con i limiti del fattore umano, con la questione della distribuzione piramidale della ricchezza e con le frizioni legate al rapporto tra tecnologia e dipendenti. La faglia interna ad Amazon apre un serio dibattito sulla sostenibilità dei ritmi della logistica, settore strategico che alimenta silenziosamente il flusso dei nostri sistemi economici, e sul reale impatto economico di un gruppo come Amazon, che forte del suo potere contrattuale può giocare sulle economie di scala e sul contenimento del costo del lavoro, a livello sociale e occupazionale. Portando a interrogarsi se le attività dell’azienda di Seattle siano un fattore di livellamento, piuttosto che di sviluppo, del tessuto economico nazionale. Viviamo oggi, in Italia, l’urto tra il versante tecnologico della globalizzazione, uscito vincitore anche dalla pandemia, e l’economia reale, una polarizzazione già attuale negli Usa nel 2016 ai tempi delle elezioni che consacrarono presidente Donald Trump e divenuta oggi d’attualità su scala globale. E casi come quello di Amazon segnalano la necessità di un riequilibrio sistemico dei rapporti di forza, che non può non chiamare in campo la politica.