Incastonata al centro del Mediterraneo, la repubblica di Malta, il più piccolo Stato membro dell’Unione Europea, sta vivendo un periodo particolarmente positivo. Il tasso d’inflazione è uno dei più bassi della zona euro (7,2 per cento contro una media continentale dell’11 per cento) e il debito pubblico resta di gran lunga inferiore agli altri Paesi UE. Ecco perché, malgrado la crisi in atto, i prezzi dell’energia sono, per volontà governativa, fissati sulle tariffe del 2014. Una scelta coraggiosa per un arcipelago costretto ad importare petrolio, gas ed elettricità (dall’Italia) e, viste le proporzioni lillipuziane (316 chilometri quadrati e 520 mila abitanti), impossibilitato a sviluppare le rinnovabili.
Ciò nonostante, l’economia maltese continua a crescere e il Pil del secondo trimestre 2022 è risultato di 4.110 milioni di euro, con un aumento del 14,7%, pari a 526,6 milioni, a confronto dello stesso trimestre 2021. A trainare sono ristorazione e ricettività, servizi finanziari e tecnologici (comprese le criptovalute), gioco e scommesse on line, settori che rappresentano il 77% del Pil e l’80% dell’occupazione. Il tutto agevolato da oltre vent’anni da un regime fiscale estremamente benevolo appositamente varato per attrarre gli investimenti dall’estero. Il sistema attuale prevede infatti che le società di proprietà straniera ricevano un rimborso di 6/7 dell’aliquota fiscale del 35%, il che significa che l’aliquota fiscale effettiva pagata è solo del 5%.
La concorrenza sleale di Malta
Un vero e proprio bengodi che infastidisce non poco l’Unione Europea che da tempo fa pressione sul governo di La Valletta per una radicale revisione dell’attuale sistema di imputazione — ispirato alla common law britannica — e chiede l’applicazione di un nuovo regime fiscale per le società consono ai parametri europei. Una questione annosa che i ministri maltesi hanno cercato di glissare sinchè, messi alle strette da una spazientita Bruxelles, hanno promesso che entro il 2025 la piccola repubblica attuerà un’importante revisione del sistema in vigore. In quale direzione non è dato saperlo poiché, come annunciato dal ministro delle Finanze Clyde Caruana, tutto è stato rimandato a un “processo di consultazione pubblica”.
Insomma i maltesi non hanno fretta e intanto si godono il loro successo e i tanti quattrini. Tanto più che a lavorare che ci pensano sempre più gli stranieri, ormai il 27,9 % della forza lavoro dell’arcipelago con punte del 58,6 % nel settore del gioco, del 48,9 in quello della ricettività e ristorazione e del 44,6 in quello delle costruzioni.
Ci sono poi i visitatori “speciali” che oltre a preferire il sole di Malta vogliono anche l’agognato “passaporto d’oro”, ovvero una concessione della cittadinanza — e dunque il biglietto d’ingresso nell’area Schengen— in cambio di investimenti. Una formula ingegnosa ideata nel 2014 dall’allora primo ministro laburista Joseph Muscat che prevede una tassa iniziale di 650 mila euro, l’acquisizione di una proprietà d’almeno 350 mila euro e un ulteriore investimento sul territorio di 150 mila euro. Per le casse maltesi un volume d’affari stimato attorno ai tre miliardi l’anno.
Lo scontro con l’UE
Nel tempo della ghiotta possibilità, concessa annualmente a 1.800 fortunati, ne ha approfittato una folla di facoltosi arabi, cinesi ed ex sovietici. Con crescente irritazione, ancora una volta, della Commissione Europea, che nel 2020 ha aperto una procedura d’infrazione contro Malta e Cipro (altra “porta” verso l’Unione). Ma il governo laburista ha fatto spallucce. L’unica concessione a Bruxelles (e a Washington) è scattata nel marzo del 2020 quando La Valletta ha sospeso ”fino a prossimo avviso” per i cittadini russi e bielorussi il fruttuoso programma. Ma gli eurocrati non demordono e lo scorso ottobre la Commissione ha ufficialmente deferito la mini repubblica alla Corte di Giustizia Europea, accusandola di violare l’articolo 4 del Trattato della UE.
A sua volta il governo maltese ha risposto che invece lo schema dei “passaporti d’oro” non violerebbe alcun articolo. In sostanza, per la politica locale il sistema scelto per conferire la cittadinanza rimane un affare interno e rivendica il suo pieno diritto a vendere cittadinanza e passaporti a chiunque accetti le sue onerose condizioni. E sempre secondo il governo, le procedure, ufficialmente volte a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, per l’assegnazione dei documenti sarebbero addirittura riconosciuti come modello per gli altri Stati nella lotta alla criminalità. Alla luce di questi aspetti, Malta continuerà quindi per la propria strada, aspettando che la Corte di Giustizia dell’UE decida. Poi, eventualmente, si vedrà.
La diatriba dunque è destinata a continuare. Piaccia o meno all’Europa i “passaporti d’oro” sono una risorsa preziosa per l’economia dell’arcipelago e, soprattutto, un benefit prezioso per l’opaca politica isolana. Come raccontava la giornalista Daphne Caruana Galizia, assassinata con un’autobomba nell’ottobre 2017 mentre indagava proprio sulla “vendita” dei documenti.