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Francia e Germania, da diverso tempo, hanno individuato nella sovranità tecnologica un obiettivo fondamentale da conseguire per poter competere al meglio, e far di conseguenza competere l’Unione Europea su di esse centrata, nel mondo globale. Ridurre la dipendenza dai colossi tecnologici statunitensi, prevenire necessarie scelte di campo tra Washington e i suoi sfidanti cinesi, inserirsi nei livelli più alti nelle nuove catene del valore trasformate dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, del 5G e dell’IoT: le giustificazioni di tale scelta, sposata con forza anche dalla Commissione di Ursula von der Leyen, sono molteplici, ma rimontare una posizione di netto svantaggio con le controparti di oltre Atlantico è difficile.

Emmanuel Macron ed Angela Merkel hanno compreso l’importanza della partita tecnologica e i loro governi hanno agito di conseguenza, sviluppando il motore di ricerca”autarchico” Qwant, promuovendo su scala continentale la web tax sulle transazioni dei colossi informatici extraeuropei e provando ad approcciare manovre di prospettiva nel settore del cloud dati. Prima della pandemia, la Merkel ha proposto la costruzione di una serie di data center e infrastrutture tecnologiche sovrane in Germania, capaci di mantenere sul suolo nazionale il prezioso “petrolio del XXI secolo” dei dati, consentirne la valorizzazione e rafforzarne la tutela da possibili apparati di spionaggio stranieri.

A partire dal vertice sul digitale di Dortmund del governo tedesco, tenutosi nell’ottobre 2019, Angela Merkel ha rafforzato la sinergia con Parigi attorno al progetto Gaia-X, che a partire dal giugno successivo ha riunito una vasta piattaforma di fornitori di servizi cloud affidabili e ottenuto il sostegno di numerose aziende coinvolte nello sviluppo o nello sfruttamento delle tecnologie abilitanti dei nuovi paradigmi manifatturieri, della rivoluzione nei processi di manutenzione e gestione degli impianti, nell’innovazione di frontiera: Orange, OVHcloud, Edf, Atos, Safram, Outscale, Deutsche Telekom, Siemens, Bosch e BMW, per fare alcuni nomi di peso. Come ha fatto notare l’analista Giuseppe Gaglianoesperto delle dinamiche del settore tecnologico, il progetto “è volto a fornire un’alternativa europea ai leader mondiale del cloud Computing come Amazon, Microsoft, Google e Alibaba”, i quali complessivamente controllano il 61% del mercato del cloud, con le prime due a fare la parte del leone. Amazon Web Services gestisce il 32% dei dati, Microsoft Azure il 17%. Questo progetto a sua volta si inserisce “in un contesto molto più ampio che consiste nel tentare di costruire un’infrastruttura europea dalla quale dovrebbe nascere un ‘ecosistema europeo di dati per consentire all’Europa di riconquistare la sua sovranità digitale”.

In ogni caso, sul tema del progetto, come ha recentemente sottolineato Politico, emergono gradualmente dubbi su quanto controllo Parigi e Berlino, e di conseguenza l’Ue saranno in grado di mantenere sull’architettura Gaia-X. Il cloud può sembrare immateriale, ma dietro di esso si stagliano enormi infrastrutture fisiche e grandi necessità di capitali per garantire l’edificazione e l’operatività dei grandi e impattanti centri di gestione del flusso dati. Come fa notare Politico, nel mondo del cloud i Paesi europei non presentano colossi in grado di gareggiare con i rivali di oltre Atlantico. Tra le aziende del Vecchio Continente, la più performante è la tedesca Sap, che però è specializzata nella gestione di database prodotti dal suo principale strumento operativo, un gestionale multifunzione per le aziende.

Il mercato è dominato dalle aziende a stelle e strisce non solo nel lato della gestione dei dati ma anche sul fronte della componentistica necessaria per i data center: Dell, Intel, IBM, Hewlett Packard sono alcuni esempi emblematici di un settore tuttora predominante, che ha nella Cina e non nell’Europa la madrepatria dei suoi principali sfidanti.

Dovendo fare i conti con una situazione di partenza sfavorevole per un mercato europeo del cloud creato ex novo, basti pensare al fatto che Amazon è in cima alle classifiche e Microsoft saldamente al secondo in tutti i principali mercati nazionali in Europa, e con le necessità che un cambio radicale di gestore comporterebbe per aziende e pubbliche amministrazioni Francia e Germania hanno alla fine dovuto avvalersi del sostegno delle competenze e delle capacità dei concorrenti americani.

Come nota StartMag, “lungi dall’escludere le società straniere, Gaia-X le ha incluse nel suo lavoro nella prima fase concettuale dalla fine del 2019, arruolando colossi come Amazon Web Services per fornire competenze e aderire all’obiettivo del progetto di rendere i servizi cloud “interoperabili”. Questa scelta va nella direzione richiesta dal governo italiano: il Ministro dell’Innovazione in quota pentastellata Paola Pisano, intervistata sul tema ad inizio agosto dal Corriere delle Sera, ha sottolineato che per la gestione dei dati “la nostra strategia per il cloud e per le infrastrutture digitali non può rinunciare a fare i conti con la realtà. Perciò prevede l’utilizzo di soluzioni già esistenti nella Pubblica amministrazione, di infrastrutture che attualmente possono fornirci soltanto gruppi stranieri”. Una presa di posizione diversa da quella più radicale espressa dal fondatore del partito della Pisano, Beppe Grillo, che nella sua strategia di autarchia digitale ha incluso pure il tema del cloud.

L’Italia presenta, nel campo del cloud, nicchie di elevata competenza che potrebbero ben performare in Gaia-X: l’infrastruttura pubblica di Sogei, Inforcert e Pagopa, controllate dal Tesoro, una società di punta come Engeneering Ingegneria Informatica, i data center dei grandi gruppi a partecipazione pubblica quali Eni ed Enel, le competenze digitali di aziende del calibro di Telecom-Tim e StMicroelectronics. Nomi di questo calibro ben figurerebbero nell’architettura Gaia-X, ma da questo punto di vista Roma, conscia del fatto che un’accelerazione sul progetto franco-tedesco la troverebbe ora più che mai spiazzata e senza il controllo del gioco, temporeggia.

Il dover giocare rincorrendo l’asse Parigi-Berlino, in questo caso, porta con sé una sana iniezione di realismo: piaccia o meno, nel mondo del digitale, coi colossi Usa bisognerà sempre fare i conti. E spingere per escluderli in un contesto tanto strategico come il cloud può solo creare incomprensioni e danneggiare i rapporti bilaterali. La sovranità tecnologica europea non può nascere dall’oggi al domani: dovrà essere il frutto della capacità europea di padroneggiare i driver della nuova rivoluzione tecnologica, di scelte politiche volte a metterli a sistema e della graduale coltivazione di competenze e capacità da parte dei Paesi con maggiori disponibilità economiche e programmatiche. Quello che gli Usa, agendo da “Stato innovatore”, hanno fatto decenni fa, raccogliendo da tempo i dividendi dell’investimento sotto forma di un’incontrastata leadership tecnologica globale. La strada per Parigi e Berlino sarà ancora molto lunga.

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