Il German Marshall Fund boccia gli Eurobond. Il centro studi statunitense che si occupa del rafforzamento dei legami transatlantici tra Unione Europea e Stati Uniti, fondato negli Anni Settanta con una donazione della Germania Ovest in onore del Piano Marshall, ritiene “senza uscita” la strada della mutualizzazione del debito tra i Paesi membri dell’Eurozona.

E lo fa per bocca di un suo senior fellow, Peter Chase, che intervistato dall’Agi dichiara di ritenere “improbabile che i partner Ue accettino le iniziative proposte dall’Italia, dalla Francia e dalla Spagna, su sovvenzioni anzichè prestiti” nel momento in cui verrano messe in piedi strutture come il Recovery Fund e ipotizzate future linee guida d’azione per la ripresa dalla crisi. Secondo Chase, questi Paesi “saranno intelligenti nel moderare le loro richieste e negoziarle in modo più gestibile. In particolare devono stare attenti a insistere sul fatto che il denaro vada direttamente al governo”, dovendo a sua dire preferire la strada del finanziamento alle imprese, come accade per la Banca europea degli investimenti (Bei).

L’intervento di Chase segnala l’interesse degli apparati statunitensi per una pronta e spedita ripresa dell’Unione europea. Oltre Atlantico si vuole evitare che, come successo dopo la crisi dei debiti del 2010-2012, l’Europa rappresenti la palla al piede della ripresa mondiale in seguito all’epidemia di coronavirus e finisca per rallentare il resto del mondo con le sue politiche autolesioniste. Allora il timore era legato al dilagare dell’austerità germanocentrica, ora Washington ritiene che l’Eurozona possa accartocciarsi e, addirittura, collassare, sotto i colpi dell’inazione politica e delle contrapposizioni interne.

A costo di compiere un grande sforzo di Realpolitik, dunque, Chase da esponente di una visione americanocentrica invita implicitamente i Paesi dell’Europa mediterranea a comprendere le ragioni di chi continua a essere centrale nell’Unione: Angela Merkel e la sua Germaniarivale tattico e strategico dell’amministrazione Trump ma tuttora centrale nell’architettura comunitaria. Chase pecca però di una visione eccessivamente ispirata dalla mentalità di oltre Atlantico laddove chiede ai Paesi membri decisioni celeri e spedite e afferma che iniettare nelle economie “più soldi per il governo, comunque siano forniti, non risolveranno il problema. Flussi del settore privato, attraverso il commercio, gli investimenti, i prestiti del settore privato, le rimesse dei lavoratori all’estero: tutto ciò è molto più importante per l’economia di un paese che per la spesa pubblica”. Negli States l’amministrazione Trump ha provveduto a un’iniezione da oltre 2mila miliardi di dollari nell’economia in crisi, salvando settori come l’aeronautica civile dal rischio default, e sostenendo a livello aggregato i redditi con misure di helicopter money.

Chase ha ragione a dire che procrastinare al 2021 il Recovery Fund, come del resto voluto dalla Merkel, potrebbe causare inconvenienti all’economia europea, ma dimentica al contempo che l’Europa sta chiudendo la strada a un intervento sempre più imponente della Banca centrale europea a sostegno dei deficit nazionali, strategia simile a quella messa in campo dalla Fed negli Stati Uniti. La ripresa da una crisi è sempre un vettore a più dimensioni: Chase, da statunitense, ne considera alcuni in misura maggiore, e chiaramente la sua opposizione alla mutualizzazione del debito è dovuta ai timori di un blocco dei negoziati comunitari. Ma sul lungo periodo è proprio nelle trame del “non detto” dal fellow del German Marshall Fund che si cela la strategia più funzionale alla ripresa europea: fare come negli Usa trasformando la Bce in una banca centrale a tutto tondo permettendole di finanziare i deficit pubblici anti-crisi.





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