Le ultime politiche monetarie espansive della Federal reserve americana, della Banca centrale europea e delle banche centrali asiatiche sono state accolte con un certo entusiasmo dal mondo della finanza e della politica che da tempo aspettavano un rilancio “forzato” dell’economia globale da parte degli istituti centrali.
Tuttavia misure come il Quantitative Easing, rilanciato recentemente da Mario Draghi in una delle sue ultime mosse da governatore uscente prima dell’arrivo alla Bce di Christine Lagarde, hanno contribuito ad accelerare un processo già incominciato da diverso tempo: il crollo del rendimento dei titoli di Stato.
Nell’Eurozona sono infatti già moltissimi i Paesi “virtuosi” che vantano titoli di Stato con un rendimento negativo, che quindi ripagano alla loro scadenza meno della spesa iniziale fatta dall’investitore. Tra tutti, spicca, ovviamente, la Germania, da sempre sinonimo di rigore e credibilità in termini di debito pubblico e il cui Bund con scadenza a 10 anni ha uno yield, ovvero un rendimento, negativo vicino al -0,5% e sceso negli ultimi sei mesi di oltre 50 punti base.
In territorio negativo anche lo yield di Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia e, più di recente, anche la Francia dopo il passaggio “storico” ad un rendimento di segno meno proprio nei mesi del taglio dei tassi di interesse da parte dei banchieri centrali di mezzo mondo.
E l’Italia? Sebbene abbia un rendimento positivo attualmente all’1,0%, il Btp con scadenza a dieci anni ha visto un vero e proprio crollo dello yield, calato in questi ultimi sei mesi di quasi 160 punti base.
Un ribasso, quello della carta italiana, sostenuto, oltre che dall’ultimo colpo di “bazooka” di Mario Draghi, anche dall’allontanamento dello spettro euroscettico del governo a guida Lega-M5S e dall’approvazione senza troppi intoppi del NaDef da parte del Conte-bis.
Oltreoceano la tendenza è abbastanza simile a quella del Vecchio continente. Il rendimento dei Buoni del Tesoro americani decennali è sceso attualmente all’1,7% , calando di ben 86 punti base negli ultimi sei mesi. Anche negli States un banchiere centrale, in questo caso il governatore della Fed, Jerome Powell, ha ceduto alla tentazione di un taglio dei tassi di interesse, spinto, più che dalle incessanti pressioni del presidente Donald Trump, dalle prospettive di una nuova recessione globale nel 2020.
Così anche i T-Notes a stelle strisce, altro punto di riferimento sul mercato obbligazionario come i Bund tedeschi, hanno iniziato ad essere sempre meno appetibili per gli investitori.
Il problema dei fondi pensione
Se da una parte i governi festeggiano l’abbassamento dei rendimenti dei titoli di Stato e, di conseguenza, un ritrovato vantaggio in termini di riduzione del debito pubblico, dall’altra parte a farne le spese non sono solo investitori e banche, ma anche i fondi pensione sia pubblici che privati, da sempre legati a doppio filo al mercato obbligazionario.
I titoli di Stato rappresentano un investimento a lungo termine piuttosto stabile e, per questo, vengono prediletti dagli asset manager dei fondi pensione, spesso anche vincolati legalmente a investire in attività a basso rischio.
Il calo generalizzato nello yield dei bond statali delle principali economie mondiali e il rendimento addirittura di segno negativo di moltissimi di essi potrebbe però iniziare a spingere i gestori dei fondi pensione a investire in mercati emergenti o in asset più rischiosi per poter sostenere lo stesso livello di rendimenti ed evitare il taglio degli assegni pensionistici ai propri clienti.
Come spiega a Bloomberg Mark Dowding, chief investment officer di BlueBay Asset Management, che si occupa tra le altre cose della gestione di fondi pensionistici, “la vera follia è che i fondi pensione sono costretti a investire in attività che saranno quasi sicuramente in perdita”. “È un vandalismo finanziario e il governo e le banche centrali devono svegliarsi”, ammonisce Dowding sul giornale di New York.
Mentre, da una parte, i governi festeggiano il taglio dei tassi di interessi per aumentare la spesa e rilanciare i consumi, dall’altra si rischia infatti un vero e proprio crollo del sistema pensionistico, con diversi Paesi che potrebbero essere costretti ad un “pension bailout”, ovvero intervenire con finanze pubbliche per salvare i fondi pensione.
Come evitare il crollo del sistema?
L’alternativa più semplice e scontata per evitare il tracollo del sistema dei fondi pensione sembrerebbe quella, evidente, di tagliare gli assegni pensionistici. Una misura, che però, è a dir poco impopolare e che avrebbe pesanti effetti anche sui consumi, specialmente in un continente come l’Europa dove la popolazione in pensione è altissima
Basti pensare che, nei Paesi Bassi, dove Abp e Pfzw, i due maggiori fondi pensione olandesi, hanno recentemente annunciato che potrebbero essere costretti a tagliare i diritti pensionistici per i loro quasi sei milioni di membri il prossimo anno, è nato addirittura un movimento simile a quello dei Gilet Jaune in Francia.
La “kleine Leute”, come la definisce il quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore, sembra infatti riguardare le preoccupazioni dei cittadini olandesi per il futuro dei loro risparmi e, non ultima, quella per i loro fondi pensione.
Le opzioni a disposizione per salvare i fondi pensione da un tracollo, secondo il britannico Financial Times, sono però davvero poche e ognuna ha dei costi o dei rischi molto alti da pagare.
Se, per esempio, il rendimento dei titoli di Stato delle principali economie continuerà a calare, i fondi pensione, ma anche i gruppi assicurativi e altri fondi legati alle obbligazioni statali, potrebbero iniziare a investire cifre maggiori sul mercato azionario, e trascinare nel baratro tutto il sistema finanziario nel caso di una nuova recessione globale, attesa peraltro da molti analisti già nel 2020.
L’altra alternativa per porre fine a questo “vandalismo finanziario” è quella di rivedere le politiche monetarie appena varate da diverse banche centrali e limitare il taglio dei tassi di interesse, in modo da riportare in alto il rendimento dei titoli di Stato. Ma anche questa sembrerebbe una via impercorribile, sempre in virtù del fatto che lo stimolo monetario è visto dai governi delle principali economie mondiali come l’unico modo per evitare una nuova recessione.
Qualunque sia la strategia seguita, dunque, se i rendimenti dei titoli di Stato continueranno a calare nei prossimi mesi, i fondi pensione avranno non pochi mal di testa.