EastMed si preannuncia destinato ad essere un gasdotto strategico per la creazione di un hub di esportazione nel Mediterraneo orientale. Il gasdotto immaginato da Israele, Cipro e Grecia e che porterà il gas del giacimento Leviathan e dei pozzi ciprioti verso l’Europa, a cui l’Italia ha ribadito il proprio sostegno nel mese di gennaio, è però al centro di un duro contenzioso geopolitico che chiama in causa, oltre ai Paesi in questione, la Francia e attori come Stati Uniti e Turchia.
EastMed è sfidato da tensioni diplomatiche, interessi economici, giochi di sponda politici. In primo luogo a perturbare il Mediterraneo orientale è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Attore dinamico e spregiudicato che minaccia di intervenire nell’offshore cipriota e libico reclamato con forza, vede EastMed come un mezzo di rafforzamento geopolitico per Paesi rivali e una minaccia a TurkStream. Ma ricondurre allo spregiudicato gioco di Ankara tutte le sfide che affronta la strada per la costruzione di EastMed sarebbe riduttivo. Quella del gas nel Mediterraneo è una partita complessa e tutti (o quasi) giocano furbescamente le loro carte.
Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto in funzione antirussa la costruzione dei gasdotti mediterranei, ma ora tentennano di fronte al ritorno di Ankara nei loro favori per le manovre in suolo siriano. Israele, tramite la società Jv, si premunisce contro un’eventuale interruzione della rotta del gasdotto costruendo piattaforme per la liquefazione del gas naturale e l’esportazione del Gnl (Flng). Come sottolinea l’Osservatorio Mediterraneo, “considerando che le riserve offshore di gas di Israele sono pari a 1,1 trilioni di metri cubi e che la politica energetica nazionale prevede che il 60% di tali riserve non possa essere esportato, nascono diverse domande. Poiché della parte esportabile di gas (250 miliardi di metri cubi) di Leviathan, una quota è già assegnata all’Egitto ed alla Giordania (35 Bcm per i prossimi 10 anni), è lecito chiedersi se il rimanente sia sufficiente a garantire disponibilità tanto per garantire la fattibilità economica del progetto Flng quanto per la pipeline”.
Grecia e Cipro, invece, si comportano in modo ambiguo accentuando i legami di difesa e sicurezza con la Francia, attiva con la Total nell’area di Cipro e pronta ad amplificare la sua presenza nell’area e a far sentire la sua voce in capitolo sulla geopolitica del gas mediterraneo anche nel campo del progetto EastMed che non la vedeva inizialmente parte integrante. In questo contesto risulta necessario, per l’Italia, chiedersi se di fronte a tutti i dubbi emersi il progetto EastMed abbia la medesima valenza strategica dei mesi scorsi.
Imbarcarsi in un’impresa messa a repentaglio dalla volatilità del contesto mediterraneo non necessariamente riscatterebbe gli anni di inazione di Roma nel contesto della partita energetica regionale. Specie se il progetto di EastMed dovesse a un certo punto subire la pressione dei mutati equilibri geopolitici o la perdita di mordente dei tre Paesi promotori. EastMed non implica alcun interesse di “vita o morte” per l’Italia “sia per le piccole quantità in gioco (solo 8 Bcm/anno), sia per il costo previsto di tale gas (di dubbia convenienza, a carico di famiglie ed industrie italiane), semmai la pipeline venisse realizzata”.
Sul lungo periodo, per l’Italia sarà in particolar modo strategico, piuttosto, riattivare il canale prosciugato dell’estrazione offshore nazionale e dare equilibrio e ordine al “tesoro” trovato da Eni in Egitto con i giacimenti Zohr e Noor, che difficilmente potranno congiungersi a EastMed. Gli appalti a società come Edison, Saipem e Snam su EastMed sono sicuramente importanti e degni di nota, ma in un contesto in cui per l’Italia risulta vitale riannodare i fili della sua politica energetica è bene ricordare che le priorità sono altre rispette a EastMed. La situazione va in ogni caso monitorata giorno dopo giorno: la stabilità del teatro del Mediterraneo orientale rimane nell’interesse nazionale di Roma.