La legislatura parlamentare in corso si caratterizzerà, vista in futuro, come una delle più complesse della storia della Repubblica italiana. Inaugurato dallo sfondamento elettorale di formazioni come i Cinque Stelle e la Lega alle elezioni del 2018, in uno scenario fortemente mutato sul piano politico, il Parlamento oggi vigente è stato epicentro di dinamiche legate alla gestione e alla spartizione del potere e dell’autorità decisionale che hanno riguardato la politica nazionale su più piani. A un primo livello, il legittimo esito del voto popolare e delle dinamiche interne ai partiti; a un secondo livello, l’influenza sulle rotte dell’Italia delle tecnostrutture interne o vicine al potere nazionale (grand commis di Stato, impresa pubblica, servizi segreti); a un terzo livello, regista delle crisi politiche, il Quirinale, con Sergio Mattarella attento a presentarsi sia come referente dell’Italia al resto del mondo sia, parimenti, come garante di fronte alla politica italiana dell’ancoraggio euro-atlantico del nostro Paese.
Le conseguenze legate alle problematiche sulla gestione della seconda ondata della pandemia, la litigiosità interna alla fragile maggioranza di governo e un’inefficace politica economica hanno fatto naufragare il tentativo di Giuseppe Conte di ricondurre a una sintesi la triplice legittimazione politica di cui, inevitabilmente, chi governa ha oggigiorno bisogno. E aperto la strada all’ipotesi Draghi, della cui fattibilità su Inside Over parlavamo già da tempo non definendola come un semplice caso di studio, ma come la specifica carta cui Mattarella sarebbe potuto ricorrere qualora la crisi politica avesse prodotto il rischio di degenerare in crisi di sistema.
Il ralliement e l’ampia maggioranza prodottasi e plasmatasi in pochi giorni attorno a Draghi dimostra che il quadro politico è destinato a evolvere con forza nei mesi a venire, ma che nel frattempo il Quirinale, cuore pulsante del nostro Stato profondo non ha potuto fare a meno di incorporare nei suoi calcoli la situazione emergenziale e, soprattutto, le pressioni che erano pervenute sull’Italia per affidare a una figura di assoluta garanzia “euro-atlantica” la guida del governo. Tpi nota che le grandi istituzioni internazionali (dalla Bce al Fmi) e gli alleati europei ed atlantici dell’Italia temevano che dopo la pandemia l’Italia potesse schiantarsi sulla scia di una convergenza tra le problematiche della pandemia e una crisi economica incalzante: “La vera ‘missione’ del professor Draghi sarà quella di rilanciare il paese (altrimenti sarebbe a rischio anche la tenuta della stessa comunità europea) facendo però in modo che non saltino per aria i già delicati conti pubblici italiani onde evitare il ‘commissariamento’ vero e proprio quando ritorneranno in vigore i parametri interni Ue”.
E dato che da tempo siamo abituati a vedere nell’andamento degli spread e delle borse una maggiore rilevanza politica del reale valore finanziario che essi hanno, si può dire che la finanza internazionale vicina ai centri di potere che maggiormente hanno spinto per Draghi ha accolto con entusiasmo il cambio della guardia a Palazzo Chigi. “L’autorità, la stabilità e la competenza del governo del primo ministro Draghi sono un grande punto di forza, che aumenta la nostra convinzione che l’Italia userà il Recovery fund in modo efficace”, scrive Morgan Stanley in un report, sottolineando che presto gli spread potrebbero convergere fino a un minimo differenziale di 55 punti tra il Btp e il Bund tedesco, un valore rilevante anche nel quadro del diluvio di liquidità messo in campo dalla Bce.
E non finisce qui. Il Financial Times, voce della finanza londinese, ha tributato un vero e proprio plauso al discorso di Draghi di esordio al Senato. Secondo il Ft Draghi è “l’uomo giusto” per attuare le riforme chiave di cui l’Italia necessita da tempo, ma “avrà bisogno di un alto senso di responsabilità da parte della classe politica italiana se vuole superare una crisi che ha giustamente definito la più grave dalla seconda guerra mondiale”, e nell’ottica del prestigioso quotidiano britannico l’orizzonte temporale del governo Draghi dovrebbe allungarsi fino al 2023.
In sostanza, cosa potremmo trarre da questi indicatori? Sicuramente la constatazione della carenza di figure, nel quadro del sistema Paese, capaci di ricondurre a unità la triplice fiducia di cui un leader istituzionale oggigiorno ha bisogno. Draghi, “riserva della Repubblica”, può sommare al consenso di una vasta base parlamentare il sostegno dello Stato profondo e, in virtù della sua nomina di origine quirinalizia, l’appoggio esplicito di Mattarella. A cui si aggiunge quello dei poteri internazionali di cui sa capire il linguaggio e le espressioni. Il suo governo parte con un carico di aspettative secondo solo all’immanenza delle problematiche che è chiamato ad affrontare: pandemia, recessione, sfiducia nel futuro, in prospettiva la tutela stessa dell’unità della nazione. A cui si aggiunge il sostanziale affidamento nelle sue mani dell’onere di garantire ai partner internazionali del Paese un’immagine rassicurante del futuro dell’Italia. Vaste programme, si potrebbe dire, citando il generale de Gaulle: Draghi è uomo competente e capace, ma il modo migliore per rilanciare il Paese passa, in primo luogo, dall’elaborazione di un progetto per il futuro verso cui indirizzare le migliori energie della nazione.