La partita internazionale del gas naturale è complessa e sempre più intricata. Se sul fronte eurasiatico negli ultimi tempi la Russia si sta consolidando come attore potenzialmente inscalfibile nel mercato dell’oro blu, avendo ottenuto una triplice espansione dei suoi gasdotti verso Cina, Germania e Europa Centrale, lo scenario più caldo resta quello del Mar Mediterraneo. Bacino strategico in cui si sovrappongono le istanze di diversi attori, unitamente alle residue volontà statunitensi di esercitare un contenimento alla proiezione gasiera russa nel contesto della “guerra fredda” in corso per il controllo di tale risorsa.
Nel Mediterraneo la questione è molto più complessa di quanto l’ipotesi base di uno scontro lineare Usa-Russia farebbe intendere. Nel Mare Nostrum si sovrappongono, infatti, le volontà politiche della superpotenza, aspirazioni e timori del Cremlino, istanze di nuovi attori desiderosi di trasformarsi in mercanti di pregiato gas naturale e interessi di Paesi, come l’Italia, che dell’oro blu sono voraci consumatori.
Nel Mediterraneo orientale i tre attori chiave sono Israele, Cipro e Grecia. Il 2 gennaio 2020 ad Atene gli esponenti dei tre Paesi hanno formalizzato la realizzazione del consorzio EastMed, che darà vita all’omonimo gasdotto. EastMed porterà il gas naturale del giacimento offshore Leviathan, sotto controllo israeliano, fino alla Grecia continentale, attraversando un percorso di 2mila chilometri che includerà l’isola di Venere e Creta.
Il summit di Atene è il naturale proseguimento dei vertici della primavera scorsa in cui – alla significativa presenza del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo – Tel Aviv, Nicosia e Atene hanno definito la rotta di EastMed e la sua proiezione geopolitica. Assente alle negoziazioni l’Italia prima gialloverde e poi giallorossa, che ha in sospeso la definizione dei progetti di Edison, coinvolta nella realizzazione del tratto finale “Poseidon” che dovrebbe condurre il gas israeliano nel nostro Paese.
All’estremo opposto del Mediterraneo, un attore emergente è il Marocco, pronto a valorizzare il suo ruolo di cerniera tra Africa, Europa e Mediterraneo all’inizio di un decennio decisivo per il suo continente d’appartenenza. Rabat è il maggiore sponsor del progetto di un gasdotto proveniente dalla Nigeria e diretto verso le sue sponde, capace di portare verso i mercati europei il gas africano, rendendolo più appetibile sui mercati del Vecchio Continente. A partire dai primi discorsi sul tema ad opera del sovrano del Marocco Mohammed VI e del suo presidente nigeriano Muhammadu Buhari nel 2016 la progettazione del notevole gasdotto di oltre 5.600 km (destinato a passare per 14 Paesi) ha fatto ampi passi in avanti.
Come scrive su StartMag il professor Giuseppe Gagliano, analista specializzato in questioni geoeconomiche, questa infrastruttura “le risorse di gas nigeriane ai paesi dell’Africa occidentale e del Marocco per servire poi l’Europa in un secondo momento. Esistono già due gasdotti nella zona nord-occidentale dell’Africa, il “gasdotto dell’Africa occidentale”, che collega la Nigeria al Ghana, passando per il Benin e il Togo, e il gasdotto Maghreb-Europa (chiamato anche “Pedro Duran Farell”) che collega l’Algeria all’Europa attraverso la Spagna (Cordova) e lo stretto di Gibilterra”. Rabat mira a ridimensionare così il ruolo della rivale Algeria e a costituire un nuovo polo di approvvigionamento per l’Europa.
La corsa alla costituzione di un’offerta crescente è notevole e si rischia di andare verso il rischio di una graduale ridondanza. Attualmente i mercati europei sono ampiamente approvvigionati dal gas russo, da quello algerino e dall’oro blu caucasico; crescenti le importazioni di Gnl qatariota, russo e statunitense, mentre con la fornitura del Mare del Nord norvegese, dell’offshore del Mediterraneo orientale e, potenzialmente, del gas nigeriano le quantità di gas in concorrenza reciproca inizierebbero a farsi significative. Alzando al tempo stesso la competizione geopolitica per il controllo delle fonti di rifornimento.
Di fronte a tali sviluppi, che minano la linearità della “guerra fredda” del gas e devono tenere in guardia sia Russia che Usa, l’Italia sceglie volontariamente di partecipare esclusivamente dal lato del Paese importatore a questa partita, tergiversando sulle potenziali opportunità offerte dall’offshore adriatico. Risulta più che mai irresponsabile, di questi tempi, bloccare le trivellazioni adriatiche consegnandone i frutti ai Paesi balcanici e alla Grecia. Roma dimostra scarsa lungimiranza geopolitica e poca attenzione: di fronte a una concorrenza serrata per il controllo delle quote di mercato del gas mediterraneo rinunciare alla propria, non indifferente porzione di produzione è una scelta incomprensibile. Che il governo Conte dovrà inevitabilmente correggere nel corso degli anni a venire.