Nuovi fronti si aprono sul caso Huawei. Il gigante tecnologico cinese è al centro della guerra tecnologica tra Pechino e gli Stati Uniti, che conosce fasi altalenanti e sviluppi, molto spesso, difficili da prevedere.

La guerra di Washington al colosso delle telecomunicazioni di Shenzen, ritenuto la centrale operativa della rivoluzione tecnologica cinese, e alle sue politiche per l’espansione mondiale della rete 5g sta avendo sino ad ora risultati contraddittori sul piano strategico e geopolitico. I risultati economici di Huawei si mantengono stabili, la sua proiezione in Paesi importanti come l’Italia non diminuisce e, al tempo stesso, la Cina conduce la corsa al 5G.

Tuttavia, un effetto di logoramento inizia a prodursi anche per le conseguenze dell’espulsione de facto di Huawei dal mercato Usa. Per Huawei il “problema americano” è triplice. In primo luogo la filiale a stelle e strisce dell’azienda si trova di fatto tagliata fuori dalle comunicazioni con il resto del gruppo per il forte scrutinio legale a cui è sottoposta. In secondo luogo la società si trova impossibilitata a fare vera ricerca e sviluppo in un mercato in cui le principali imprese hanno un’interdizione a fare affari con lei e vede ridotta la possibilità di svincolarsi dal sistema Android di proprietà di Google. Infine, negli Stati Uniti Huawei non potrà portare avanti la rete 5G e sarà bersagliata dagli apparati di intelligence americani.

Per questo motivo l’amministratore delegato di Huawei Ren Zhengfei ha dichiarato al Globe and Mail, importante quotidiano canadese, che l’azienda trasferirà le proprie centrali di ricerca e sviluppo oltre i Grandi Laghi, depotenziando il centro di ricerca di Santa Clara nella Silicon Valley. “In base al bando” introdotto dall’amministrazione Trump, ha spiegato Ren, “non possiamo comunicare via telefono, o mail, o contattare in qualsiasi forma i nostri dipendenti negli Stati Uniti”.

Washington mira poi a cavalcare la questione Hong Kong per ottenere un danneggiamento della posizione cinese su tutti i fronti, Huawei compresa. La promozione in Europa della campagna politica del dissidente Joshua Wong, in questo contesto, potrebbe essere un utile grimaldello. La Cina ha duramente protestato contro l’Italia per l’udienza concessa a Wong alla Camera, mentre in Germania è stata proprio un’analoga rimostranza a incendiare a tutto campo il dibattito sui rapporti con Pechino, portando anche il 5g all’ordine del giorno.

Il governo di Angela Merkel, spiega Foreign Policyavrebbe mal digerito l’attacco di Pechino al ministro degli Esteri Heiko Maas per la vicinanza dimostrata a Wong e avrebbe, su queste basi, iniziato a riflettere su quanto sia stato effettivamente saggio annacquare i criteri sulle concessioni 5G per far risultare idonea Huawei. Il ministro dell’Economia Peter Altmaier, in questo caso, guida il “partito cinese” assieme alla grande industria, mentre sul fronte della fedeltà alle richieste Usa di bando a Huawei è situata la destra della Cdu, assieme all’Afd e ai liberali Fdp.

La partita su Huawei è dunque ancora aperta. Ed è il fronte maggiore, ma non l’unico, di una contesta per la supremazia tecnologica che vede Washington e Pechino cozzare anche sul tema dell’intelligenza artificiale, della cyberwar e del calcolo quantistico. Come detto recentemente da Giampiero Massolo in un convegno al Centro Studi Americani di Roma “non si tratta solo di tecnologia ma di una competizione per il potere”. La posta in palio? La supremazia politico-economica nel corso del XXI secolo.





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