La sostenibilità, su scala mondiale, è sempre più un asset: non si ferma la corsa mondiale dei green bond, le obbligazioni “verdi” che puntano a unire sostenibilità finanziaria, proventi e benefici per l’ambiente e che su scala planetaria hanno sfondato quota mille miliardi di euro di valore complessivo.

I Green Bond si pongono l’obiettivo di finanziare vari tipi di progetti incorporanti obiettivi strategici di sostenibilità ambientale, che possono riguardare il trattamento dell’acqua e dei rifiuti, lo sviluppo di infrastrutture per i trasporti pubblici, la produzione di reti sostenibili e innovative e via dicendo.

A partire dall’emissione del primo bond verde nel 2007 ad opera della Banca Europea degli Investimenti, il mercato si è strutturato notevolmente. A dilatarlo, nota Borsa Italiana, due fattori: da una parte ” l’ingresso nel mercato delle obbligazioni green da parte delle grandi imprese dei paesi emergenti (in particolare Cina ed India), dall’altra la crescente attenzione delle istituzioni sovranazionali al tema della sostenibilità ambientale”. A cui la grande corsa della liquidità su scala globale dopo la crisi del Covid-19 e l’intervento in campo delle banche centrali ha dato nuovo slancio. In una fase in cui i mercati sono stracolmi di liquidità in cerca di scaricamento in titoli a rendimento garantito e interessante i green bond offrono non secondarie prospettive di investimento.

Non è un caso che il parco emittenti di queste obbligazioni riguardi sia Stati ed istituzioni sovrane che organizzazioni sovranazionali e grandi imprese. Su scala planetaria Fannie Mae, il colosso del credito garantito statunitense, è il maggior detentore di emissioni di green bond, avendone messi sul mercato ben 94 miliardi di dollari. Seguono Kfw, la Cassa Depositi e Prestiti tedesca (41,8 miliardi di dollari), che ne ha emessi per finanziare politiche di transizione e investimenti strategici, e il governo francese (40,8 miliardi), che li ha incardinati nel quadro delle emissioni sovrane. Il governo tedesco ne detiene in pancia 20,9 miliardi e non sono da meno due colossi energetici come l’olandese TenneT (13,8 miliardi) e la spagnola Iberdrola (12,2 miliardi). Questi attori, complessivamente, detengono circa il 22% delle emissioni di un mercato fortemente concentrato. A cui pian piano si stanno aggiungendo nuovi attori.

In Italia Enel (4 miliardi di euro), Intesa San Paolo (3,9 miliardi) e Terna (3 miliardi) sono in prima fila nel rilanciare il mercato dei bond verdi e, come ricorda Repubblica, c’è crescente fermento: Unicredit ha provato a mettere in campo la sua prima tranche da un miliardo e ha ricevuto richieste dal valore più che triplo. Il mercato avanza, ma come sempre quando si parla di finanza è giusto analizzare dei dettagli tecnici e, in un certo senso, politici.

La forza dei green bond sta, indubbiamente, nel fatto che rappresentano una fonte di finanziamento importante sia sul versante del debito pubblico che su quello delle aziende strategiche impegnate negli investimenti operativi in tecnologie abilitanti, reti e via dicendo. Inoltre, sottolinea la sezione Affari e Finanza del quotidiano diretto da Maurizio Molinari, il loro è un mercato “liquido, probabilmente riparato da futuri rovesci per la sua stessa natura attinente a una problematica che non si esaurirà e attirerà sempre più investitori”.

D’altro canto, però, il rischio che la liquidità alimenti la volatilità e un flusso speculativo slegato dagli obiettivi di fondo di coniugare progresso economico e tutela ambientale. Fattispecie da non sottovalutare quando ci si trova di fondo a una fase in cui i mercati sono attivi e i capitali in perenne ricerca di rendimento. A cui si aggiunge il rischio del greenwashing, ovvero lo sfruttamento della “narrazione” mediatica pro-ambiente per attrarre capitali con fini esclusivamente di profitto. Secondo il Financial Times tra il 15 e il 20% degli investimenti in green bond coprirebbero in realtà fattispecie del genere.

Dopo l’annuncio del ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 febbraio scorso che indicava l’imminente ingresso dell’Italia nelle emissioni sovrane “verdi” e nella finanza sostenibile, Banca Etica ha messo ai raggi X il mercato più dinamico dell’attuale sistema finanziario.  Elisabetta Villa, investment specialist che fa parte dello staff della Direzione Generale di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio (Sgr) che propone esclusivamente fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili, ha dichiarato a Economia Circolare di ritenere positiva l’idea di subordinare la patente “verde” a un titolo “all’applicazione di criteri negativi di esclusione di determinati settori o attività e nell’applicazione di criteri positivi di valutazione basati su temi di sostenibilità”.

Aggiungendo che in quest’ottica la sua società “esclude i green bond di emittenti che appartengono a settori quali per esempio gli armamenti, il gioco d’azzardo, i combustibili fossili, di realtà che utilizzano o sviluppano energia nucleare o che sono in possesso di sabbie bituminose o coinvolte in episodi negativi non solo per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente, ma anche nell’ambito della corruzione e del rispetto dei diritti dei lavoratori”.

Uno scrutinio del genere non appare però sufficiente, in quanto estremamente soggettivo e applicabile solo a realtà artigiane e con una missione ben precisa come Banca Etica. Servono precisazioni sulla sostenibilità economica di medio-lungo periodo degli investimenti, rendicontazioni sugli impieghi degli asset e degli investimenti futuri, garanzie sul fatto che ogni tipo di ipocrisia da parte degli emittenti sia evitata. Evitando casi spiacevoli come quello del governo australiano dello Stato del Queensland, finito sotto accusa per aver emesso bond verdi per salvare la barriera corallina pur essendo un finanziatore dell’industria del carbone.

In quest’ottica, potrebbe essere interessante, da parte dei governi, stabilire un sistema di deduzioni fiscali e favori monetari funzionali ad attrarre, dietro uno scrutinio preciso, investitori motivati a intervenire nel settore. A patto, chiaramente, di avere regole certe. In tal senso è attesa, nel quadro del piano climatico europeo, la proposta della Commissione europea sulla regolamentazione ufficiale dei Green bond in campo comunitario, che mira a rimettere ordine nel campo. E potrebbe essere un decisivo banco di prova su cui si misurerà la capacità dell’Ue di giocare in primo piano la partita della transizione.