Colpire Vladimir Putin per mezzo del cerchio magico degli oligarchi e dell’economia clientelare russa. Questo obiettivo potrebbe essere una strategia occidentale per fermare Mosca guardando i problemi che in pochi giorni hanno subito i super-ricchi della Federazione Russa. Molti di questi sono compatti dietro il presidente che li ha favoriti nella guerra tra sistemi di potere economici che li ha favoriti nell’ultimo ventennio: tra questi Quotidiano.net cita “il banchiere Oleg Tinkov, Vagit Alekperov (siderurgia), Igor Sechin (petrolio), Igor Chemezov (meccanica)” e “Arkady Rotenberg, che dello zar è stato compagno di judo e si è arricchito con le linee elettriche”. Ma per quanto a lungo ciò potrà durare, in un Paese in cui il 70% del Pil ha origine statale ed è concentrato nelle mani di pochi privilegiati che con la loro fedeltà mantengono stabile il fronte interno?
La domanda si pone in un contesto in cui 40 miliardi di dollari al giorno sfumano dal patrimonio dei Paperoni di Russia. Secondo le stime di Forbes, solo nei primi tre giorni l’invasione dell’Ucraina è costata 128 miliardi di dollari agli uomini di affari russi più in vista. Un bagno di sangue economico che sta portando molti uomini a prendere le contromosse temendo che il prossimo passo da Ovest possa essere molto dura: la fine del legame tra la Russia e il sistema di pagamenti Swift può colpire gli affari oltre i confini del Paese, il tracollo del rublo danneggia il loro patrimonio, il rischio di un congelamento degli asset all’estero preoccupa le loro prospettive economiche.
Questo ha portato i Paesi occidentali, Usa, Regno Unito e Unione Europea, a aumentare la pressione sugli oligarchi di Mosca per convincere la Russia a desistere dalla pressione sull’Ucraina. I governi occidentali vedono gli oligarchi russi più ricchi come i veri abilitatori del regime di Putin. Le sanzioni che li colpiscono, secondo Quartz, devono causare “sofferenze all’elite russa” che ha stanziato buona parte della sua ricchezza in “real estate, squadre sportive, yacht, beni di lusso, investimenti finanziari in città come New York, Londra e Barcellona” o nascondendoli in paradisi fiscali.
Coloro che si sono arricchiti nell’assalto alla diligenza negli Anni Novanta, partecipando alla spoliazione del bottino dello Stato russo nell’era Eltsin, creando potentati come Norilsk, Nickel, Yukos, Lokoil, Sibneft, hanno poi avuto o la possibilità di scegliere di venire a patti col ralliement di potere imposto da Putin o di contrastarlo. Chi ha scelto la seconda strada ha in larga parte perso il braccio di ferro, come dimostrano i casi di Boris Berezovskij, Vladimir Gusinskij, Michail Khodorkovskij. Chi ha scelto la prima è entrato, a vari livelli, nel cerchio magico, sia all’interno che all’estero. Ma ora si rischia il panico.
L’oligarca più celebre nel mondo occidentale, Roman Abramovic, ha temuto che l’invasione dell’Ucraina potesse essere il volano per il suo annichilimento finanziario e ha giocato d’anticipo. Per il magnate basato tra Londra e Israele, proprietario del club di calcio del Chelsea, la decisione più immediata è stata la cessione della proprietà dei Blues a un trust fiduciario, misura volta a anticipare le sanzioni del governo di Boris Johnson che bloccheranno i suoi beni patrimoniali di uno degli uomini più vicini a Putin. E secondo l’esponente laburista Chris Bryant, Abramovic avrebbe dovuto essere inserito in prima fila tra i bersagli delle nuove sanzioni dall’esecutivo conservatore: la scelta dell’ex patron di Sibneft è dunque tutt’altro che una critica a Putin, sia ben chiaro, ma mostra che tra i Paperoni di Russia c’è maretta.
Inoltre, sempre a Londra, come ricorda il Corriere della Sera, uno “degli uomini più ricchi di Russia”, Mikhail Friedman, ceo della società di private equity LetterOne, forte di un patrimonio di 15 miliardi di dollari, “ha scritto una lettera per chiedere che finisca il bagno di sangue”. Friedman, che non è alleato di Putin ma con lo Zar ha cercato un modus vivendi, evitando la guerra totale da cui Boris Berezovskij, Vladimir Gusinskij e Michail Khodorkovskij sono usciti indenni. Una mossa, la sua, dettata sia dalle origini ucraine che dalla volontà di lanciare un chiaro messaggio: demolire il cerchio magico di Putin è la strategia scelta dall’Occidente per strangolare la capacità d’azione della Russia in Ucraina. Colpire i colonnelli e il fronte interno per depotenziare l’azione del generale. C’è da vedere se la mossa avrà successo: ma ad oggi, in una fase di acuta volatilità per l’economia di Mosca, l’inquietudine dei pretoriani del potere di Putin può giocare un ruolo nella risoluzione del conflitto. Non ci sono ancora state defezioni, tra i fedelissimi. Ma se casi come quelli di Abramovic e Friedman dovessero moltiplicarsi, anche tra le inscalfibili mura del Cremlino potrebbe aprirsi una breccia.