Nella scena politica globale, l’Europa negli ultimi anni è semplicemente muta e assente: nei consessi in cui si decidono gli equilibri di lungo periodo il Vecchio Continente non riesce a esercitare la sua voce e il suo potere decisionale. Dominata dall’utopia antipolitica secondo cui i rapporti di forza globali siano solo una questione di mercati, l’Unione Europea, ha fatto notare Pierluigi Fagan, non si accorge di come questa utopia diventi “distopia e assurdo storico nel mentre s’instaura un nuovo ordine mondiale in cui grandi potenze non solo economiche, sgomitano per stabilire i rapporti di gerarchia” dei prossimi decenni.
E quando la politica torna a fare sentire il suo peso, l’Europa paga il pegno della sua fede nell’economicismo. Per un’ironia della sorte, proprio sul terreno economico. Non aver saputo esercitare in maniera equilibrata tra Washington e Pechino il ruolo di terzo grande polo d’attrazione su scala globale ha portato l’Europa a non potersi frapporre tra di esse mentre scatenavano la loro rivalità geopolitica ed economica, che ha nella guerra dei dazi, destinata a impattare proprio il Vecchio Continente, un fattore trasversale e una manifestazione plastica.
L’Europa rischia di essere la grande sconfitta della rivalità Cina-Usa a causa della sua sostanziale irrilevanza, che le impedisce di agire come attore credibile con lungimiranza strategica. I Paesi europei, eccezion fatta per la peculiarità francese nel settore della Difesa, sono indietro nelle aree dell’economia mondiale che decideranno l’innovazione di frontiera del XXI secolo rispetto a Washington e Pechino e sono privi della volontà politica di mediare tra di esse in campo commerciale. In questo modo la piattaforma industriale del Vecchio Continente traballa sotto i colpi delle sanzioni incrociate tra Usa e Cina. E anche l’Italia rischia contraccolpi da decine di miliardi di euro.
I costi per l’Europa
Il Fondo monetario internazionale ha stimato in 80 miliardi di euro di minore Pil il costo per l’Europa di un biennio di guerra commerciale. 5 di questi impatterebbero sul nostro export, che tuttavia non dovrebbe subire grossi tracolli nel 2019: Sace Simest ha stimato in +3,9% nei confronti degli Usa e +3% verso la Cina l’aumento dell’export sotto i nuovi scenari di guerra commerciale, contro un +4,9% e un +6% in contesto normale.
A questo c’è da aggiungere il peso non secondario dei nuovi dazi Usa diretti verso l’Unione stessa, ritenuta alleato inaffidabile da oltre Atlantico e composta da numerosi Stati, Germania in testa, pericolosi per il commercio Usa. Come sottolinea il Corriere della Sera, Trump ha rimandato a novembre l’ applicazione di dazi alle auto di marca europea e alla «lista nera» delle specialità alimentari europee, dove l’ export italiani vale 4 miliardi di euro e che comprende prodotti come l’olio d’oliva e il pecorino romano. Questo settore potrebbe risultare più problematico per il Vecchio Continente e l’Italia, ma è una diretta derivazione della guerra commerciale Usa-Cina in cui l’Europa è stata silente, non esercitando la sua influenza e inducendo Trump e i suoi “architetti” delle guerre commerciali, Peter Navarro e Bob Lighthizer, a ritenere necessario un richiamo alla solidarietà transatlantica. L’indecisione politica ha reso l’Europa bersaglio diretto dei dazi Usa, senza grandi possibilità di potersi muovere con forza in mezzo al braccio di ferro che va in scena su scala globale tra le due superpotenze.