La Belt and Road Initiative (Bri) ha appena compiuto dieci anni. Il maxi progetto infrastrutturale lanciato da Xi Jinping nel 2013, pensato per ricalcare lo storico solco tracciato dall’antica Via della Seta, avrebbe dovuto consentire alla Cina di tessere rapporti sempre piĂą stretti con quanti piĂą Paesi possibili, per dare vita ad un network declinabile in piĂą ambiti, economico-commerciali in primis. Abbiamo utilizzato il condizionale perchĂ© il presente non è proprio come il leader cinese immaginava che fosse.

Quando, pochi mesi dopo esser diventato presidente, Xi lanciava l’iniziativa da Astana, in Kazakhstan, il mondo era diverso da oggi. Ed è per questo che, all’epoca, l’obiettivo finale della Bri, che implicava strette connessioni tra Asia, Europa ed Africa – con la Cina al centro della scena – non creava particolari allarmismi tra le cancellerie occidentali. Si parlava, del resto, di costruire ferrovie e autostrade, riqualificare porti ed aeroporti, fornire assistenza a governi africani in difficoltĂ , il tutto in nome del mutuo vantaggio.

Decine e decine di governi aderirono quindi alla Nuova Via della Seta, compresa l’Italia firmataria di un Memorandum of Understanding nel 2019 (ora pronto a non essere riconfermato). Alcuni, come vari Stati africani e asiatici dalle economie piĂą arretrate, mostrarono un comprensibile entusiasmo. La decisione di altri Paesi – è il caso di Roma – scatenò invece mille polemiche, per il timore che un’eventuale intesa tra la Cina e le nazioni europee potesse offrire vantaggi geopolitici a Pechino, oltre a indebitare i governi firmatari.

La guerra commerciale imbastita da Donald Trump contro il Dragone, la crescita delle tensioni tra Usa e Cina, lo scoppio della guerra in Ucraina: tutto questo ha infranto il sogno di gloria iniziale di Xi, costretto a rivedere i termini della Bri. A complicare i piani cinesi, poi, ci sono stati altri due fattori chiave: lo scoppio della pandemia di Covid-19, che in molti casi ha rallentato – se non fatto sospendere – i lavori, e il rallentamento economico di Pechino. Risultato: il gigante asiatico è stato costretto a riorganizzare le proprie priorità.

I risultati della Belt and Road

La Cina ha rivisto l’approccio da utilizzare per investire all’estero. Adesso Xi spinge per aumentare la redditivitĂ  (e la strategicitĂ ) dei progetti Belt and Road, sacrificando – laddove necessario – alcuni capisaldi iniziali del piano. Questo non significa affatto che il Dragone rinuncerĂ  alla Bri, anche perchĂ© l’intera iniziativa è stata associata al leader cinese. Al contrario, cambieranno attori e obiettivi di fondo. Pechino, intanto, a ottobre ospiterĂ  il terzo Belt and Road Forum, lo stesso evento al quale dovrebbe partecipare anche Vladimir Putin.

Secondo l’agenzia doganale della Cina, il commercio cinese con i partecipanti alla Belt and Road è cresciuto del 76% dal 2013 al 2022, superando l’aumento del 51% del commercio complessivo cinese. Come se non bastasse, i legami economici più forti con i Paesi emergenti hanno rafforzato il peso del gigante asiatico sulla scena internazionale. Attenzione però, perché come sottolineato da Nikkei Asian il surplus commerciale della Cina con i paesi della Belt and Road è cresciuto.

La cifra ha totalizzato 197,9 miliardi di dollari per i primi sette mesi del 2023 ed è sulla buona strada per raggiungere un nuovo massimo dell’intero anno. Questo surplus, che rappresenta circa il 40% del totale della Cina, ha aiutato il Paese a fare meno affidamento sul commercio con gli Stati Uniti in un contesto di crescenti tensioni bilaterali. In tutto ciò, mentre la Cina aumenta l’assistenza finanziaria ai paesi della Bri, anche attraverso scambi di valuta, i nuovi investimenti sono diminuiti. Fino a prima del Covid, venivano investiti ogni anno attraverso l’iniziativa circa 100 miliardi di dollari, ma da allora la cifra si è aggirata tra i 60 e i 70 miliardi, secondo i dati dell’American Enterprise Institute.

Luci e ombre: quale futuro per il piano di Xi

La Bri ha avuto successo? La risposta dipende dai dati e dal periodo temporale che intendiamo prendere in esame. In un primo momento, la strategia di Xi ha avuto un ampio successo. Ad esempio, a partire dal 2021, la Cina ha firmato Memorandum d’Intesa con 140 Paesi e 32 organizzazioni internazionali, di cui 46 in Africa, 37 in Asia, 27 in Europa, 11 in Nord America, 11 nel Pacifico e otto in America Latina. Inoltre, nel 2012, gli investimenti diretti esteri (Ide) in uscita della Cina ammontavano a 82 miliardi di dollari, ma nel 2020 sono stati di 154 miliardi, con il Paese classificatosi come il primo investitore estero al mondo.

La situazione è cambiata piĂą o meno con l’avvento del Covid. I problemi interni alla Cina hanno spinto il Paese a monitorare altre prioritĂ , mentre all’estero diversi governi occidentali sono insorti contro l’iniziativa. Un numero crescente di Paesi mutuatari della Bri è stato spinto sull’orlo dell’insolvenza a causa del rallentamento della crescita globale, dell’aumento dei tassi di interesse e dei livelli record di indebitamento dei Paesi in via di sviluppo.

Complici le nuove scintille con il blocco occidentale, Pechino sembrerebbe aver messo nel mirino i Paesi in via di sviluppo, il cosiddetto sud globale, avviando una sorta di cooperazione sud-sud e riprendendo in mano alcuni progetti africani. Ma anche puntando a testa bassa sull’America Latina.  In questi termini, forse, potrĂ  riadattarsi la Belt and Road.

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