“Vogliamo raccontare i drammi senza fine del Congo, una terra tormentata da gruppi armati anche di matrice islamista, depauperata dallo sfruttamento delle risorse minerarie, travolta da epidemie e da sfide che riguardano tutti noi. Vogliamo farlo attraverso lo sguardo di chi da anni si occupa di questo Paese: il fotografo Marco Gualazzini e il giornalista Daniele Bellocchio.
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Problemi famigliari possono creare una nuova grana per Joe Biden. In una fase in cui ancora continuano a insistere diverse problematiche politiche il presidente Usa è interessato dalle conseguenze dello scoop giornalistico rivelato dal New York Times sulle attività in Congo del figlio Hunter. Critico del presidente per le sue posizioni relativamente accomodanti per la prospettiva dem nei confronti della Russia, per la messa in campo di un’amministrazione priva dei protegé liberal della famiglia Clinton e per le problematiche emerse nel primo anno di governo dell’ex senatore del Delaware, il New York Times non ha usato mezze misure nel colpire Hunter Biden.
Questa volta l’accusa è la più dura che possa colpire il figlio di un leader Usa e i suoi affari nell’America del 2021: sintonia con la Cina. Hunter Biden, ha rilevato il quotidiano della Grande Mela, avrebbe fatto sì che Bhr società finanziaria di cui era partner e co-fondatore, contribuisse alla cessione dell’80% di una miniera di cobalto situata nella Repubblica Democratica del Congo al colosso cinese China Molybdenum, di proprietà della Repubblica Popolare.
Bhr, costituita a Shanghai da soci americani e cinesi, opera come fondo di private equity ed ha avuto nel suo capitale una quota del 30% controllata dagli statunitensi. Nel 2016 Hunter Biden, figlio dell’allora vice di Barack Obama, aveva il 10% delle azioni controllandole tramite Skaneateles LLC, una società basata a Washington, e risultò centrale in una serie di accordi che portarono al passaggio ai cinesi delle quote di controllo delle miniere congolesi controllate dalla società Freeport-McMoRan con l’intermediazione di Bhr.
Chris Clark, avvocato di Biden junior, ha sottolineato che il figlio del presidente non detiene più alcuna quota né in Bhr né in Skaneateles e secondo documenti cinesi consultati dal quotidiano di New York non deteneva alcuna carica nel consiglio direttivo della prima all’aprile 2020.
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CAUSALE: Reportage Congo
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La questione assume valenza strategica se si pensa al fatto che oggigiorno il cobalto è materia prima strategica nella corsa globale alla transizione energetica e alle nuove catene del valore industriali in campi come l’auto elettrica che vede Usa e Cina come rivali. Pechino opera in primo luogo a monte, gestendo a livello globale l’attività dei giacimenti importanti per la realizzazione delle batterie per l’auto elettrica, risultando primariamente coinvolta nel mercato di nickel e litio ma ottenendo al contempo una vera e propria egemonia nel cobalto, di cui controlla il 90% dell’offerta mondiale, dal Congo al Sud America. Il 5 agosto scorso, negli Usa, Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per fissare un nuovo, ambizioso obiettivo sul tema delle auto elettriche, puntando a far sì che il 50% delle nuove auto vendute negli Usa dovrà essere a zero emissioni entro il 2030. Una sfida sistemica e complessa di fronte a una situazione che vede Washington rincorrere Pechino sul fronte delle materie prime strategiche. Tra le grandi case automobilistiche Usa, nota Il Sole 24 Ore, “General Motors lo scorso gennaio è stata la prima grande casa ad annunciare lo stop alla produzione di auto a combustione interna entro il 2035. Ford ha invece previsto che il 40% delle sue vendite sarà a zero emissioni entro il 2030, dunque non lontano dall’obiettivo di Biden”.
E lo stesso Joe Biden ha firmato un documento della Casa Bianca a giugno sottolineando che il cobalto presenta “critiche vulnerabilità” per l’industria statunitense. La notizia lanciata dal New York Times fa dunque rumore e richiama giocoforza l’attenzione degli Usa sul lontano scenario congolese. Nella Repubblica Democratica Pechino si sta gradualmente inserendo, Washington insegue e, nelle accuse del quotidiano della Grande Mela, Hunter Biden potrebbe aver contribuito a cagionare un danno alla sicurezza industriale statunitense.
Dai rapporti d’affari piuttosto torbidi con l’Ucraina e la Cina al tentativo di presentarsi nell’inedita veste di pittore fissando prezzi fuori mercato per delle opere (quotate tra i 75mila e i 500mila dollari) vendute a ignoti acquirenti privati Hunter Biden ha più volte associato la sua persona a condotte ritenute particolarmente imbarazzanti per il padre. Associare il suo nome alla Cina appare ora come un messaggio e un avvertimento al padre sul fatto che la sua amministrazione è sotto esame da parte di precise centrali di potere vicine al mondo dem, scontente dell’andamento della presidenza Biden sino ad ora. E mostra l’esistenza di una vera e propria attività di dossieraggio contro una figura controversa ma sicuramente fino ad ora non colpita da alcuna condanna di natura penale. La mossa sul caso cobalto appare dunque inserirsi nel quadro di una lotta di potere interna agli Usa, ma al tempo stesso segnala quanto importanti siano diventati per gli equilibri globali i problemi della transizione energetica. Ora in grado di determinare vere e proprie questioni di pubblica attenzione per i media e la politica.