Una nuova strategia per rilanciare il proprio impegno in Africa e, al tempo stesso, competere con i rivali geopolitici Cina e Russia, al fine di accreditarsi la maggior influenza possibile sulle dinamiche politico-economiche presenti nel continente nero. Per gli Stati Uniti è scoccata l’ora zero. Washington non può più permettersi di lasciare campo aperto a Pechino e Mosca in una delle regioni più ricche di risorse naturali. A maggior ragione adesso che il mondo sta per entrare in una fase turbolenta, e dove chi avrà il controllo delle fonti energetiche principali si troverà in una posizione di vantaggio rispetto a tutti gli altri attori. E allora, in risposta al recente tour di Sergej Lavrov, ecco la trasferta africana di Anthony Blinken.

In concomitanza con la visita del segretario di Stato Usa in Africa, la Casa Bianca ha svelato la nuova strategia dell’amministrazione guidata da Joe Biden. Anche se gli Stati Uniti hanno insitito sul fatto che la rinnovata attenzione al contesto africano non è incentrata sulla rivalità tra grandi potenze, gli impegni di Blinken potrebbero far parte degli sforzi statunitensi volti a ricostruire la presenza americana in loco per contrastare cinesi e russi. “Il nostro impegno per una partnership più forte con l’Africa non consiste nel cercare di superare chiunque altro”, ha tuonato Blinken da Pretoria, in Sud Africa, uno dei Paesi africani che ha mantenuto una posizione di non allineamento in seguito alla guerra in Ucraina.

Nel frattempo la Cina, che ormai da decenni è attivissima in Africa, ha dichiarato che condonerà 23 prestiti senza interessi a 17 Paesi africani e che reindirizzerà 10 miliardi di dollari delle sue riserve del Fondo monetario internazionale alle nazioni del continente. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha annunciato le cancellazioni in un incontro della scorsa settimana del Forum sulla cooperazione Cina-Africa. Wang non ha tuttavia fornito dettagli né sul valore dei prestiti, a quanto risulta maturati alla fine del 2021, né ha indicato quali nazioni dovessero i soldi. Washington cerca spazio in Africa ma Pechino non intende vanificare anni e anni di relazioni costruite a son di prestiti e investimenti.



La strategia Usa

Foreign Policy ha scritto che la nuova visione statunitense coincide con una riorganizzazione del personale all’interno della Casa Bianca. Judd Devermont, un ex funzionario della CIA che è entrato a far parte del Consiglio di sicurezza nazionale (NSC) come consulente speciale per aiutare a creare la suddetta strategia, è stato promosso a direttore senior dell’NSC per gli affari africani. Sarà proprio da Devermont che partirà l’impulso che guiderà la strategia, che comprende diversi obiettivi generali, incluso il rafforzamento della democrazia, della governance e della sicurezza. Ci sarà poi spazio per un focus sulla ripresa dalla pandemia e sulle opportunità economiche, su come affrontare la crisi climatica e una transizione energetica “giusta” per il continente e su come promuovere società aperte.

Fonti dell’amministrazione Biden hanno sottolineato come uno degli scopi principali del programma consista anche nell’aumentare l’attenzione e i finanziamenti sulla diplomazia e sullo sviluppo, nel tentativo di allontanarsi dai soli impegni militari che, in particolare nella regione del Sahel, hanno dominato la politica statunitense negli ultimi due decenni, quando l’obiettivo principale della politica estera di Washington si limitava per lo più all’antiterrorismo. In passato, insomma, Washington ha investito miliardi di dollari nel settore della sicurezza, tralasciando gli sforzi diplomatici e di sviluppo. Che, al contrario, sono stati inglobati nella strategia cinese per l’Africa.

I funzionari dell’amministrazione Biden non intendono incasellare le nazioni africane in una sorta di competizione globale tra grandi potenze. Eppure gli Stati Uniti non sono ancora riusciti ad escogitare un buon modo per competere con gli aggressivi programmi infrastrutturali di prestito sponsorizzati dallo stato cinese, che in alcuni Paesi hanno superato di gran lunga gli investimenti occidentali. Insomma, i governi africani non hanno alcuna intenzione di essere considerati alla stregua di pedine in un confronto esterno tra Pechino e Washington, con quest’ultimo spesso dalla parte del perdente. Certo è che, a differenza di diverse altre iniziative lanciate da Biden, ma ancora avvolte nella nebbia (pensiamo alla B3W che dovrebbe teoricamente contrastare la Belt and Road cinese), è necessario che la nuova strategia Usa per l’Africa abbandoni quanto prima il piano dell’astrattezza per poter sperare quanto meno di funzionare. E non è un caso che un funzionario statunitense anonimo abbia dichiarato a FP che “una strategia senza finanziamenti equivale a parole di fantasia su carta”.



La mossa della Cina

Decisamente più concreta, come abbiamo visto, risulta essere la mossa della Cina. Dal 2000 ad oggi, Pechino ha annunciato più cicli di remissione del debito di prestiti senza interessi ai Paesi africani, cancellando almeno 3,4 miliardi di dollari di debito fino al 2019. Il debito cancellato era limitato a prestiti di aiuti esteri maturi e senza interessi, con lo Zambia che ha ricevuto il maggior numero di cancellazioni.

Ovviamente la Cina, così come tutti gli attori geopolitici del mondo, non regala niente a nessuno. La strategia cinese, oltre ad esser volta ad incrementare la propria presenza in Africa, è anche conseguenza del recente aumento dell’inflazione, che ha innescato un’ondata di aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali di tutto il mondo, inclusa la Federal Reserve statunitense. In un contesto del genere i costi di rimborso dei prestiti sovrani non fanno che schizzare verso l’alto. “Ciò che l’Africa desidera è un ambiente di cooperazione favorevole e amichevole, non la mentalità della Guerra Fredda a somma zero”, ha spiegato Wang a conferma della mossa cinese.

In generale, da quando si è svolto il Forum sulla cooperazione Cina-Africa in Senegal (novembre 2021), Pechino ha consegnato 3 miliardi di dollari di 10 miliardi di dollari di linee di credito promesse alle istituzioni finanziarie africane. Quest’anno la Cina ha poi accettato l’ingresso senza dazi al 98% delle esportazioni da 12 Paesi africani e fornito assistenza alimentare di emergenza a Gibuti, Etiopia, Somalia ed Eritrea. Dove non arrivano gli investimenti diretti, arrivano sconti e altri “regali” finanziari.





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