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Donald Trump ha sino ad ora salutato il rispetto degli obiettivi programmatici della sua campagna elettorale in materia di politica economica, che prevedevano una robusta crescita del 3% annuo, i record degli stock borsistici e il marcato calo della disoccupazione ai minimi storici come i principali successi della sua amministrazione. A ragione, Trump può vantare il fatto che la riforma fiscale repubblicana ha, soprattutto in campo finanziario, aperto i cordoni per investimenti e crescita. Ma non è tutto oro quel che luccica.

L’espansione del deficit federale e le politiche governative di Obama e Trump hanno consentito agli Stati Uniti di gettarsi alle spalle la Grande Recessione del 2007-2008, ma numerose contraddizioni interne al sistema non sono state sanate. Dalle disuguaglianze che non accennano a diminuire agli elevati tassi di povertà, passando per il perenne fardello del debito privato, gli Stati Uniti sono affetti da problemi cronici che puntualmente possono tornare a far pagare il conto. Tanto che negli ambienti economici circola con insistenza il timore che il 2020 possa coincidere con una nuova fase di recessione.

Il primo segnale di incertezza sul futuro dell’economia americana viene dai mercati finanziari. Per la prima volta dalla grande crisi del decennio scorso, infatti, i mercati finanziari stanno iniziando a portare il rendimento dei Treasury Bond statunitensi a breve periodo oltre quelli di lungo, segno del fatto che stanno scontando incertezze sull’immediato futuro. Lo scrive il Corriere della Sera: “Per la prima volta da oltre un decennio, si è invertita la curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa tra la scadenza a 2 anni e quella a 10, situazione che non si verificava da maggio 2007 e che, negli ultimi 40 anni, è sempre stata anticipatrice di una recessione dell’economia americana. Il tasso dei titoli biennali si è attestato all’1,628%, contro l’1,619% dei bond a 10 anni. Inoltre il trentennale è scivolato a 2,0738%, al di sotto del minimo storico del 2,0882% registrato a luglio 2016. L’inversione della curva dei rendimenti era già iniziata negli Stati Uniti, ma finora aveva riguardato solo il tasso del decennale”.

Inoltre, questo significa che Trump non potrà contare su una dilatazione inarrestabile dei mercati per tirare la volata alla sua corsa alla rielezione nel 2020. Le borse danno segnali contraddittori, specie gli indici tecnologici come il Nasdaq che soffrono delle incertezze su dazi e 5G. A preoccupare principalmente è l’economia reale, con le frenate nella crescita del tasso di occupazione, dei salari e la carenza di investimenti.

Scrive il Guardian che “l’occupazione negli Usa cresce consecutivamente da 106 mesi, la più grande striscia mai registrata. Il tasso di disoccupazione (3,7%) sfiora i minimi registrati nel 1969 (3,6%) e non è segnato alcun picco di richieste per i sussidi di disoccupazione. Il percorso della crescita dell’occupazione è comunque sempre più lento. Se nel 2018 l’economia americana aggiungeva 223.000 posti di lavoro al mese, ora la crescita è salita a una media di 165.000. E i salari, in media, hanno ristagnato dietro la crescita dell’occupazione sin dalla fine della Grande Recessione”, e tra luglio 2018 e luglio 2019 sono saliti solo del 3,2%.

Gli Usa di Trump non riescono ad aggiungere quantità considerevoli di posti di lavoro e ad attrarre investimenti nei settori chiave dell’industria e dell’economia reale: infrastrutture, edilizia, manifattura. Gli investimenti del governo, dopo che Trump ha messo nel cassetto il piano infrastrutturale da un trilione di dollari, non decollano. E – può sembrare un paradosso – il fatto che il tasso di disoccupazione rimanga tanto basso in una fase di espansione significa che numerosi settori non riescono ad attrarre nel mercato del lavoro un numero di persone tale da farli rientrare al suo interno come soggetti in cerca di occupazione. L’economia americana non si è fermata, ma il suo motore si sta sicuramente ingolfando: per ora il rischio recessione nel 2020 sembra remoto, ma se dalla produzione industriale o dall’economia dei servizi dovessero venire segnali negativi, o se a livello mondiale dovesse impattare un imprevedibile “cigno nero”, Trump si troverebbe una sfida cruciale da affrontare in piena campagna elettorale.

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