La Cina segue con attenzione i focolai del Golfo Persico. Gli occhi di Pechino, in particolare, sono puntati sullo Stretto di Hormuz, uno dei più importanti choke point del petrolio al mondo; nel 2018, ogni giorno, sono transitati da qui 21 milioni di barili di greggio, che a occhio e croce fanno un terzo del petrolio mondiale trasportato via mare nonché un quinto del consumo globale, e un quarto del consumo totale di gas naturale liquefatto. Lo Stretto di Hormuz è dunque un punto fondamentale sia dal punto di vista commerciale che da quello politico, visto che la zona separa l’Iran dall’Arabia Saudita, alleata numero uno degli Stati Uniti in quell’area turbolenta.
La Cina osserva la situazione nel Golfo Persico
Cosa c’entra la Cina con lo Stretto di Hormuz? Abbiamo citato i dati relativi al 2018. A questi vale la pena aggiungere le statistiche riguardanti Pechino. Stando a quanto riportato dal ministero dell’energia statunitense, nel 2018 il 76% delle esportazioni di petrolio transitanti lungo questo corridoio erano destinate all’Asia, in primis a Cina, India, Giappone e Corea del Sud. Gli Stati Uniti pesano sul traffico dello Stretto solo per un misero 16%; Washington è ormai indipendente dal punto di vista energetico grazie alla tecnica del fracking. Gli americani producono il petrolio di cui hanno bisogno direttamente a casa propria, senza più alcun bisogno di avviare pericolose missioni nel Medio Oriente. Adesso quest’area, commercialmente parlando, è diventata vitale per altri soggetti. Certo, gli Stati Uniti continuano a presidiare la zona ma per fini politici, non certo per i barili di greggio; quelli, semmai, interessano alla Cina e alle nuove potenze asiatiche- Ecco perché gli Stati Uniti potrebbero rispondere alle provocazioni dell’Iran fino a sperare, addirittura, nella chiusura dello Stretto; in tal caso Pechino finirebbe strangolata.
L’importanza dello Stretto di Hormuz
Lo Stretto di Hormuz diventa sempre più pericoloso, i costi delle assicurazioni aumentano e pure il prezzo del petrolio. Tutto questo va a pesare sui paesi asiatici, che hanno ottenuto gran parte della loro modernizzazione proprio grazie a questo corridoio energetico. La Cina, che è il più grande importatore di greggio al mondo, diventerebbe di colpo vulnerabile di fronte a un’eventuale chiusura dello Stretto, ipotesi fin qui solo paventata dall’Iran. Pechino importa il 70% del greggio ed è dipendente da ogni scossone proveniente dal Golfo Persico; difficile che i Pasdaran chiudano il corridoio, ma già il fatto di praticare insistite azioni di disturbo altera non poco gli equilibri commerciali. Certo è che se Teheran dovesse davvero bloccare lo Stretto di Hormuz, per la Cina sarebbero guai seri visto che il Dragone ricava circa 4,5 milioni di barili al giorno dal Golfo dei 10 milioni totali di greggio importati.
Le scorte non bastano
La Cina ha più volte pensato a una simile evenienza, ovvero restare a secco di scorte energetiche; ecco che la Strategic Petroleum Reserve (Spr) del 2004 è un primo passo per evitare contraccolpi. La Spr consiste nel mantenere scorte di greggio all’interno dei paesi membri dell’Aie – l’agenzia internazionale di energia – in caso di gravi interruzioni di forniture. Intanto, secondo il National Bureau of Statistics (Nbs), le riserve di greggio su cui poteva contare la Cina nel giugno 2017 erano pari a 37,73 milioni di tonnellate, pari a 276,5 milioni di barili; questa è l’ultima rilevazione ufficiale o ufficiosa. Secondo quanto riportato da alcuni analisti, l’inventario della Cina all’interno della Spr ammonterebbe a quasi 300 milioni di barili; più o meno 30 giorni di importazioni. Il governo cinese, nel peggiori dei casi, potrebbe andare avanti per un mese; un po’ poco per un Paese enorme come la Cina.
Il campanello d’allarme
Per la Cina, il primo campanello d’allarme è già suonato. Gli Stati Uniti hanno infatti sanzionato la Zhuhai Zherong Co Ltd, una società energetica statale cinese, per aver violato le restrizioni imposte al settore petrolifero iraniano. Lo ha rivelato ieri il segretario di stato americano, Mike Pompeo, spiegando il comportamento che da qui in avanti terranno gli Stati Uniti nei confronti dei soggetti che violeranno le sanzioni contro l’Iran: “Abbiamo detto che sanzioneremo ogni azione sanzionabile, e intendiamo farlo sul serio”. Le sanzioni hanno bloccato tutte le proprietà di Zhuhai negli Stati Uniti e impedito al suo amministratore delegato, Youmin Li, di entrare nel paese. La mossa di Washington colpisce sia l’Iran, che perde così un cliente importante e remunerativo, sia la Cina, che si vede ostruire un vitale canale energetico; la guerra commerciale tra Trump e Xi Jinping, oltre ad aver coinvolto il settore tecnologico, si estende dunque anche al petrolio.