A Washington si è riaperta la partita sul debito pubblico. Era successo con Barack Obama, con la “guerra” mossa a più riprese dai Repubblicani, ma anche a Donald Trump, contro cui i democratici avevano alzato le barricate di fronte alla sfida di inserire nel budget il muro al confine col Messico nel 2018. In entrambi i casi gli Usa erano scivolati nello shutdown, il temporaneo spegnimento delle attività federali. Ma Joe Biden si trova nel prossimo mese di fronte a una sfida più complessa: la sovrapposizione tra il rischio shutdown, legato a un mancato innalzamento del tetto al debito, e l’esaurimento delle casse del Tesoro.
Il segretario al Tesoro ed ex governatore della Federal Reserve Janet Yellen ha negli scorsi giorni proprio paventato la parola inimmaginabile a Washington: default. C’è davvero il rischio che gli Usa si dichiarino insolventi sul proprio debito? Vediamo come stanno le cose.
Un problema senza precedenti
Nel 2011 Obama affrontò la sovrapposizione tra la scadenza del tetto al rinnovo del debito e l’esaurimento delle risorse autorizzate dal Congresso per pagare i debiti del governo federale. Oggi le due questioni sono pronte a riproporsi in un contesto di più acuta tensione politica, polarizzazione istituzionale, alta inflazione, alti tassi e fragilità sociale interna agli States.
Il braccio di ferro tra democratici e repubblicani, con lo Speaker della Camera Kevin McCarthy che usa l’arma dell’innalzamento del debito come leva negoziale per spuntare concessioni a Biden, si potrebbe per Yellen tradurre nell’impossibilità per il Tesoro di rispondere alle obbligazioni e al pagamento di interessi sul debito accumulato, cedole dei Treasuries e fatture a breve termine per un periodo indefinito.
Il Congresso, lo ricordiamo, deve approvare entro l’1 giugno la possibilità che il debito federale superi la soglia di 31,4 mila miliardi di dollari sfondata a gennaio e finora gestita con le misure di continuità emergenziale dello Stato. McCarthy e i Repubblicani chiedono più controllo alla spesa pubblica, il taglio di alcuni generosi programmi di assistenza sociale, un confronto continuo tra Casa Bianca e Congresso sul deficit e meno autoreferenzialità della Casa Bianca. L’amministrazione vuole invece spingere sull’opinione pubblica perché constati, secondo fonti istituzionali citate da Politico, l’irresponsabilità del Grand Old Party “collegando il suo radicalismo sull’economia alle posizioni conservatrici su armi, aborto e altri temi”.
Evocare il default, da parte di Yellen, ha significato cercare di impostare proprio in questi termini il dibattito. La narrazione dell’amministrazione è che non aumentare il tetto del debito aprirà automaticamente il tema del finanziamento del Tesoro che, seppur slegato dal primo come ricorda la Brookings Institution, rischia di esplodere causando una catastrofe finanziaria senza precedenti a livello globale. Ma bisogna separare realismo politico e ordinaria amministrazione economica: molti indicatori permettono di analizzare perché il default Usa, con le regole attuali dell’economia-mondo, è semplicemente impossibile.
Gli Usa non possono andare in default perché dettano le regole del gioco
Il debito Usa, innanzitutto, non è il “semplice” debito di un’economia sviluppata, la più grande della Terra. Per molti Paesi (Cina, Giappone, Belgio soprattutto) è un prodotto d’investimento volto a diversificare in forma sicura le proprie riserve estere. Per milioni di persone in tutto il mondo e migliaia di fondi un bene rifugio.
Nella narrazione economica neoliberista a cui la pur moderata Yellen si è rifatta i governi dovrebbero essere responsabili davanti ai mercati finanziari, il rating delle principali agenzie segnalare il valore di affidabilità di un debitore e il default sussistere di fronte all’assenza di capacità di rimborso effettive. Ma dove si trovano tutte le istituzioni che dettano legge sul rating? Negli Usa o nella loro succursale europea, Londra. Da dove provengono i loro più grandi proprietari? Dagli States, ça va sans dire.
In che moneta la stragrande maggioranza del mondo commercia? Nel dollaro americano. Il primo debitore al mondo, il Paese con il deficit nominale maggiore e la grande potenza importatrice di beni è anche lo Stato che con la sua valuta detta legge. Non può fallire su pressione esterna un centro imperiale che detta leggi così distanti dall’ideologia economica mainstream. E dietro il quale insiste la vera garanzia contro ogni default americano: la non più assoluta ma comunque relativa supremazia geopolitica a livello globale e la primazia militare che, del resto, garantisce le rotte commerciali, navali soprattutto, che plasmano la globalizzazione.
La strategia della paura di Yellen
Quella di Yellen e Biden è una strategia di pressione psicologica che vuole puntare sull’irresponsabilità dei repubblicani per spingerli a concessioni. Si è riaperta una classica sfida che vede il debito oggetto di un “gioco del pollo” in cui tra Gop e Dem chi si scansa per primo si assume le responsabilità della rottura politica che porta alla crisi del debito.
Yellen ha deciso di sparare alto evocando un default che semplicemente non ci potrà essere perché nessuno potrebbe mai richiedere con forza a Washington di onorare i suoi impegni a meno che non siano gli stessi Usa a scegliere unilateralmente la via dell’insolvenza. Una “strategia della paura” che colpisce direttamente l’animo dell’americano medio, che dell’insicurezza economica fa la sua preoccupazione-cardine. E su cui i democratici vogliono evitare che i conservatori giochino, da qui alle presidenziali, tutta la loro campagna. Attaccando preventivamente con i toni che ci si aspetterebbe da McCarthy e i suoi.