Mentre l’Europa e gli Stati Uniti fronteggiano l’epidemia di coronavirus e le conseguenze sul piano economico-finanziario la guerra del petrolio tra Russia e Arabia Saudita prosegue.
Riad mantiene a 12,3 milioni di barili di petrolio al giorno la sua offerta quotidiana ai mercati; sfruttando la spare capacity di condizionamento dei mercati di cui è ancora accreditata l’Arabia Saudita intende sfidare Mosca sul terreno dell’abbassamento dei prezzi. Nella seduta borsistica di mercoledì 18 marzo i prezzi del greggio hanno nuovamente conosciuto una pesante avvitata verso il basso. Il Brent ha perso l’11,6%, arrivando a poco più di 25 dollari al barile, mentre il Wti è addirittura crollato del 24%, a 20,74 dollari al barile.
Il braccio di ferro prosegue tenacemente. E rispetto alla prima settimana del confronto ora si possono ipotizzare scenari di più lungo periodo per quella che è molto di più di una ripicca per il fallimento del vertice Opec+ di inizio mese.
In un primo scenario si può pensare che l’Arabia Saudita voglia effettivamente colpire al cuore la proiezione russa nel mercato del greggio. Ma Mosca, com’è noto, può reggere a livelli di prezzo inferiore a quelli della compagnia saudita Aramco, e dunque questo complicherebbe notevolmente gli sviluppi futuri.
La seconda ipotesi, di cui ha parlato Bloomberg, è quella della “guerra lampo” volta a impadronirsi di quote di mercato da consolidare poi dopo la fine del confronto. L’Arabia Saudita, sottolinea StartMag, “starebbe forse imponendo una lunga fase di alta offerta e di bassi prezzi del petrolio a tutti gli altri esportatori. Solo i Paesi in grado di competere in un quadro simile riusciranno ad uscirne vivi: e gli Stati Uniti, che hanno costi di produzione alti, potrebbero non esserne in grado”. Usando una metafora ciclistica, un forcing in salita per preparare un attacco in discesa. Lo scenario di un confronto che avrà come perdenti i produttori di shale oil di oltre Atlantico è tutt’altro che improbabile, e appare estremamente accreditato. D’altro canto, oramai anche per i Paesi che scoprono risorse energetiche la ricchezza non è più una conseguenza automatica: i sauditi potrebbero voler restringere ulteriormente il terreno di competizione. Riad prevede uno sconto per l’Arabian Light fissato a 10,25 dollari al barile: il tour de force potrebbe essere solo all’inizio.
Infine, si potrebbe addirittura ipotizzare, nel contesto di uno scenario non troppo dissimile dal precedente, a un confronto serrato russo-saudita in cui entrambi i concorrenti saranno, sul lungo periodo, avvantaggiati dal tracollo dei piccoli e medi produttori Opec, che saranno i primi a non poter reggere tale situazione a lungo. Se del resto l’Opec nacque nel 1960 come cartello volto a coalizzare i produttori e, per statuto, “eliminare le fluttuazioni dannose e inutili”, è chiaro che Riad si stia muovendo ora in direzione ostinata e contraria rispetto a tali prescrizioni.
In una fase in cui la domanda mondiale non sembra affatto destinata a decollare, Riad rischia di scottarsi con una strategia del genere: se la Russia non dovesse “assecondare” le provocazioni saudite ma, invece, dovessero contrattaccare tutti gli altri produttori Opec, invadendo il mercato con quote di greggio sotto-prezzato, per l’Arabia Saudita i problemi di bilancio inizierebbero a superare i benefici di una strategia spregiudicata. Il tutto mentre la globalizzazione di cui i mercati energetici beneficiano va in tilt e le borse sono in un pericoloso ottovolante: Riad rischia l’osso del collo e non può spingersi troppo oltre nella guerra al ribasso.