Il coronavirus è un Giano bifronte per l’economia globale e per gli equilibri geopolitici internazionali.Il “mantra” più diffuso è che niente sarà più come prima. Ma questo è ancora tutto da dimostrare in una fase in cui di fronte al repentino cambiamento in corso, ad esempio, tornano di moda le discutibili analisi costi/benefici sulla vita umana (Economist docet), l’Unione Europea si ostina a rispolverare strumenti, come il Mes, tutt’altro che innovativi e Donald Trump punta sull’usato sicuro, riportando in campo la triade formata da Keynes (risposta anticiclica alla crisi), Roosevelt (istituzionalizzazione politica della risposta) e Polanyi (primato della politica sull’economia).

Non tutto cambierà, anche perchè i mutamenti che appaiono più sconvolgenti, troppo spesso, finiscono per seguire la celebre logica del Gattopardo. La realtà è che il sistema del capitalismo, della globalizzazione e delle relazioni internazionali mostra forti problematiche strutturali, ma la sua caduta non è una profezia da pronunciare a gran voce.

Il coronavirus è un Giano bifronte perchè crea, al tempo stesso, più e meno globalizzazione. I singoli cittadini dei Paesi in lockdown elevano il “sovranismo” a principio guida delle proprie abitazioni mentre i Paesi seguono sempre di più la strada del nazionalismo economico, è vero. Ma al tempo stesso temi come la diffusione dello smartworking, l’ampliamento del traffico internet, la dipendenza delle società dalle reti di telecomunicazione, la sorveglianza crescente su dati e spostamenti delle persone rafforzano la presa sociale del motore immobile della più recente fase della globalizzazione, il complesso tecno-finanziario.

Con una lucidità notevole, Paolo Savona ha recentemente evidenziato con grande lucidità il tema cruciale della questione in un’analisi per Il Sole 24 Ore: “La diffusione territoriale del coronavirus è la naturale espressione della globalizzazione degli scambi delle merci e dei servizi, ai quali si accompagnano i movimenti delle persone, principali veicoli dell’infezione. I modi per affrontare la crisi sanitaria ed economica dovevano essere decisi cooperando a livello globale, ma questa è esplosa in un momento in cui le relazioni internazionali si trovano al minimo post bellico e post caduta del comunismo sovietico”. La fisiologica natura competitiva delle relazioni tra nazioni emerge proprio in una fase in cui più che mai la retorica del destino condiviso molto spesso propugnata dalle organizzazioni sovranazionali avrebbe senso e dovrebbe corrispondere a iniziative concrete.

Un recente studio del medesimo quotidiano sulle previsioni di cambiamento più impattanti sulle nostre società, del resto, non sbroglia la matassa. Segnalando come il principale limite della globalizzazione sia stata l’incapacità di dare sottofondo concreto alla sua retorica egalitaria, che lasciava presagire una convergenza di crescita economica e sviluppo tra le diverse aree del mondo finendo, però, per diventare un mangete di competizione e disuguaglianza come molti studiosi, da David Harvey a Manlio Graziano, non hanno mancato di evidenziare.

Ritorno del nazionalismo economico e rischi di recessione mondiale, assieme al rallentamento dell’investimento aggregato delle imprese, sono tra i maggiori sintomi di una graduale “de-globalizzazione”. Al tempo stesso, l’ascesa del telelavoro e l’ulteriore decollo dei settori hi-tech nella gestione dei dati e del tempo libero di miliardi di persone rafforzano la presa del comparto informatico sui sistemi economici di tutto il pianeta.

Come si coniugherà l’indebolimento delle catene del valore globali e il crollo borsistico con altre tendenze di segno opposto? La verità è che la prima vittima di questa tendenza è la cultura della globalizzazione esasperata e fine a sè stessa, non la globalizzazione come processo. L’evoluzione concreta di quest’ultima dipenderà dalle risposte politiche, economiche e strategiche messe in campo da potenze e attori privati, dalla capacità adattiva delle società e dalla dinamica delle relazioni internazionali. Il punto di rottura, in altre parole, potrà essere solo politico, non economico o sanitario: e in questo contesto la competizione tra potenze di cui parla Savona potrà essere in futuro driver di cambiamenti sistemici di ampia portata. Nella consapevolezza che a problemi globali comuni, molto spesso, opporre unicamente le logiche della rivalità come riflesso condizionato può risultare controproducente.

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