Sono passati circa due mesi da quando era stato annunciato per la prima volta pubblicamente il piano per il Recovery Fund europeo. Era stato presentato come un trionfo, in particolare dal governo italiano, che per bocca del suo presidente del Consiglio aveva parlato apertamente di “grandi progressi, impensabili fino a poche settimane fa”. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, non aveva poi esitato a sottolineare come si trattasse di un piano di “trilioni, non di miliardi”.

Il Recovery Fund ridimensionato

Sono passati 60 giorni da quella data che avrebbe dovuto rappresentare il salto verso l’Europa del futuro e oggi, a fine giugno, l’Unione si trova invece di fronte agli stessi problemi di prima. L’accordo sul Recovery Fund è ancora in fase di negoziato e, intanto, i trilioni annunciati dalla Von der Leyen, sono diventati 750 miliardi di euro da dividersi tra tutti gli Stati membri. Il ridimensionamento economico del piano è stato accompagnato dalla conseguente classica zuffa per dividersi la nuova torta messa a disposizione.

Occorre poi precisare che questa pandemia, lungi dall’essere stata anche un momento utile alla riflessione sul significato di solidarietà europea, ha invece confermato le peggiori tendenze individualiste dei singoli Stati. E così la suddivisione dei fondi del futuro Recovery Fund è diventata l’occasione per alcuni Paesi europei di rivendicare una presunta superiorità morale ed etica rispetto ad altri.

I Paesi frugali ostacolano il Recovery Fund e il Pepp

È il caso dei cosiddetti Paesi frugali, tra cui si annoverano Germania, Olanda, Austria, Svezia e Danimarca. Secondo la narrativa proposta dai rappresentanti politici del gruppo dei “frugali”, l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund dovrà essere fortemente vincolato all’attuazione di determinati programmi politici e non dovrà comprendere risorse a fondo perduto. Questo perché, sempre secondo la narrativa dei “frugali”, i Paesi del sud Europa, visto il loro debito pubblico elevato, correrebbero il rischio di sprecare le risorse in assistenzialismo, clientelismo, corruzione et similia.

Questa “paura” è stata poi confermata dalla nota sentenza della corte tedesca di Karlsruhe, che impone un ultimatum alla Bce per quanto riguarda il programma di acquisto di titoli di Stato. In sostanza, la sentenza afferma che se la Bce continua con il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), la Germania potrebbe ritirare la Bundesbank dal circuito europeo, aprendo a scenari del tutto imprevedibili, tra cui anche la fine dell’euro.

Tra la sentenza di Karlsruhe e il Recovery Fund c’è dunque un denominatore comune: la vulgata nordica che dipinge gli Stati del sud come finanziariamente irresponsabili e dunque immeritevoli di ricevere risorse non vincolate, a fondo perduto o sotto forma di monetizzazione del loro debito.

L’assistenzialismo della Bce verso i Paesi frugali

Ad un’analisi più attenta dei numeri non possono però non sorgere seri dubbi sulla veridicità di tale narrazione. Innanzitutto occorre sottolineare come il debito privato dei Paesi frugali sia più alto di quello italiano. Quello austriaco è al 48,8% sul Pil, quello svedese all’88,5%, quello olandese al 99,8 % e quello danese al 112%. Il debito privato italiano è invece fermo al 40,5% del Pil. Sappiamo poi che nella storia delle crisi economiche il debito privato ha avuto un ruolo di primo piano rispetto al debito pubblico. Le crisi del ’29 e del 2007 sono, per esempio, crisi scaturite da alto indebitamento privato.

Il secondo aspetto che non può essere lasciato da parte è relativo alla destinazione degli acquisti dei titoli di Stato da parte della Bce. Secondo la narrazione dei “frugali” sarebbe scontato vedere che tali acquisti si siano indirizzati principalmente verso i Paesi del sud Europa. E invece no. Il principale beneficiario del Pepp è stata la Germania, con ben 46 miliardi e 749 milioni di euro di titoli acquistati dalla Bce. Come riportato dal portale truenumbers “si tratta del 25,1% del totale. Ed è singolare che anche in questo caso sia stata superata la quota di partecipazione alla Bce, che è del 21,4%”.

Tra i principali beneficiari del Pepp risulta esserci anche l’Olanda. La Bce ha infatti comprato più di 10 miliardi di titoli olandesi, ovvero il 5,6% di tutti gli acquisti, quando invece la quota del Paese nella Bce è del 4,8%. Anche la sobria Austria ha ricevuto maggiori attenzioni da parte della Bce rispetto a Grecia e Portogallo (4,9 miliardi contro i 4,6 e 4,1 di Portogallo e Grecia).

Pare non esserci quindi riscontro fattuale rispetto alla narrativa imposta dai Paesi frugali, i cui rappresentanti politici stanno con buona probabilità portando avanti un messaggio propagandistico verso i loro elettori. “Niente soldi agli italiani” è stata d’altronde la frase pronunciata da un operaio olandese al premier, che aveva risposto con il pollice alzato. La propaganda politica nei Paesi frugali ha dunque vissuto su questo grande bluff, che vede contrapposti Stati virtuosi contro Stati irresponsabili.

Il problema è che ad oggi tale narrativa è stata creduta e ritenuta valida non solo in sede europea, con conseguenze che ritroviamo ancora nelle asimmetrie del negoziato sul Recovery Fund. Tale narrativa è stata anche sposata dagli stessi Paesi del sud Europa, che hanno applicato politiche di estrema austerità per l’auto espiazione da una colpa, quella del debito, che probabilmente non esisteva.

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