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Assieme alle rinnovabili, l’idrogeno è la nuova frontiera della transizione energetica. Aziende e nazioni si stanno spendendo per inserirsi in questo nuovo settore e sembra che i tempi siano maturi per l’avvio di una rivoluzione energetica. Le radici di questo processo sono certamente ambientali ma anche geopolitiche, con motivazioni ben legate ai parametri di diversificazione rispetto a Paesi rivali. Per rendersi conto di questo, è sufficiente guardare alla grande alternativa all’idrogeno soprattutto per quanto riguarda la mobilità sostenibile: il litio.

L’idrogeno e la transizione promessa

Tra i vantaggi che l’idrogeno offre, oltre al fatto che non è un gas climalterante, vi è che la possibilità di utilizzarlo in differenti settori come i trasporti, il riscaldamento degli ambienti e la produzione di elettricità. Specificamente sulla mobilità, l’idrogeno offre maggiore efficienza – secondo l’Eia, di due fino a tre volte – delle celle a combustione rispetto ai motori a combustione interna.

Fra i modi di produzione dell’idrogeno che non impattano sull’ambiente vi è l’elettrolisi basata su energia prodotta da fonti rinnovabili – il cosiddetto “idrogeno verde” –, di cui ci sono esempi pratici a Mariestad, Svezia. Altro metodo è quello di produrre idrogeno dal gas naturale tramite cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) – il cosiddetto “idrogeno blu” –, il quale dovrebbe essere rimpiazzato dall’idrogeno verde per arrivare ad un mix totalmente rinnovabile.

Vista la necessità di affrontare il cambiamento climatico sempre più nazioni stanno producendo documenti e programmi di indirizzo dedicati all’idrogeno, fra cui anche il nostro Paese. Non potendo fornire un quadro completo a livello mondiale, si è optato per raccogliere alcune storie provenienti dal mondo per poter fornire alcune indicazioni su come si stia procedendo, a cominciare dall’Italia.

Strategie nazionali: Italia, Germania, Giappone

Snam ha realizzato un rapporto con McKinsey sulle prospettive di sviluppo dell’idrogeno nel nostro Paese e nel quale afferma che in uno scenario di decarbonizzazione al 95% “l’idrogeno potrebbe fornire fino al 23% del consumo totale di energia entro il 2050. L’azienda individua la possibilità di sviluppare infrastrutture per il fotovoltaico nei Paesi dell’Africa settentrionale ed importare successivamente l’idrogeno verde prodotto lì in Sicilia tramite l’infrastruttura esistente, il tutto con un costo inferiore del 14% rispetto alla produzione domestica. Tale organizzazione della produzione e distribuzione dell’idrogeno in Italia permetterebbe anche una successiva riesportazione dell’idrogeno in Europa, rendendo l’Italia un hub per gli altri Paesi.

Dal punto di vista governativo vi è stato l’apporto del sottosegretario al Mise Davide Crippa, il quale ha istituito un tavolo di lavoro sull’idrogeno come fonte di energia pulita. Fra i partecipanti Eni, Fincantieri, Hydrogen Park, Snam, Rse ed esperti del Cnr. Il tutto era volto anche ad elaborare le linee guida per adempiere agli impegni presi a livello internazionale come il Protocollo sottoscritto dal Sottosegretario Crippa all’Hydrogen Energy Meeting di Tokyo del 23 ottobre 2018. L’obiettivo dell’evento era promuovere la cooperazione sulla ricerca, sviluppo e diffusione delle tecnologie a idrogeno e si è concluso con la sigla di un documento di conferma del valore della collaborazione.

In Europa, fra i Paesi che hanno bisogno di affrontare il nodo della transizione energetica senza accrescere la propria dipendenza dall’estero c’è la Germania, che con la Energiewende si è fatta promotrice di un modello di produzione energetica completamente rinnovabile la cui realizzazione è però tuttora incompleta. Se il Nord Stream 2 rimane un progetto prioritario per Berlino, è anche vero che esso non migliora la posizione del Paese sul fronte della diversificazione e dell’indipendenza energetica. A tale proposito, l’idrogeno rappresenta una fonte di energia su cui le aziende tedesche sono interessate ad investire, mentre il ministro dell’economia tedesco Peter Altmaier ha dichiarato che la Germania debba ambire a divenire un leader mondiale dell’idrogeno. Inoltre, il ministro ha proposto di creare una certificazione europea ed internazionale per le tecnologie ad idrogeno per renderle interessanti per il mercato e raggiungere potenziali Paesi partner.

Nei primi giorni di febbraio 2020 lo stesso ministro dell’Economia Altmaier ha fatto circolare la prima bozza di strategia nazionale dell’idrogeno della Germania, dove si afferma che una soglia minima del 20% dell’idrogeno dovrà essere prodotto tramite energie rinnovabili per il 2030. A tale proposito si prevede lo sviluppo di tre fino a cinque gigawatts di capacità per l’elettrolisi. Inoltre, l’idrogeno è stato definito fra le priorità in vista della presidenza Ue della Germania, con l’intento di sviluppare un mercato europeo dell’idrogeno. Tali obiettivi sono elaborati in vista della presentazione per il 2021, da parte della UE, di un pacchetto per il gas che dovrebbe includere l’idrogeno come elemento chiave. La bozza di strategia prevede anche la necessità della Germania di importare gran parte dell’idrogeno verde, dal momento che il Paese non è al momento in grado di produrre la quantità di energia da fonti rinnovabili necessaria per la produzione di idrogeno.

Un Paese che ha saputo elaborare una visione sistematica della strategia di sviluppo dell’idrogeno è il Giappone, anche alla luce del massiccio impiego di fonti fossili accresciuto ulteriormente con la riduzione della capacità nucleare negli anni post-Fukushima. Stando ai dati forniti dallo stesso Governo giapponese, la nazione asiatica dipende da fonti fossili per circa il 94% della propria offerta energetica primaria, mentre il livello di autosufficienza raggiunto a seguito della chiusura delle centrali è il secondo più basso fra i Paesi Ocse – 6-7% –. Tali fattori hanno spinto il Giappone ad elaborare la propria “Basic Hydrogen Strategy”, all’interno della quale l’idrogeno viene definito sia come uno strumento per garantire diversificazione e maggiore sicurezza energetica che come un mezzo per raggiungere la decarbonizzazione.

Per raggiungere gli obiettivi sopra enunciati, il Giappone punterebbe a ridurre i costi di utilizzo dell’idrogeno, raggiungibile tramite l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili

E lo sviluppo di una supply-chain globale dell’idrogeno stesso – con il connesso sviluppo di infrastrutture di contenimento e trasporto –. Su questo punto specifico il Giappone dichiara di voler sviluppare una supply-chain dell’idrogeno liquefatto per metà del decennio 2020-30, per commercializzarlo nel 2030 circa.

Gli sforzi dei Paesi presi in considerazione hanno certamente in mente la necessità di far fronte ad una crisi climatica sempre più evidente e dall’impatto che si prospetta di volta in volta più catastrofico. Tuttavia, un racconto focalizzato esclusivamente sull’aspetto della decarbonizzazione sarebbe parziale in quanto anche questo ambito è influenzato dalla geopolitica e dallo scontro fra diverse nazioni per accrescere la propria influenza sugli altri e ridurre la propria dipendenza dai propri rivali. Parlando proprio di rivali, l’idrogeno ha soprattutto nel settore della mobilità un rivale nel litio e nel suo utilizzo all’interno della mobilità elettrica, settore in cui a farla da padrone è un Paese dalla complicata relazione con l’Occidente ed i suoi alleati: la Cina. 

Il grande rivale: la Cina

Le manovre cinesi per acquisire il litio vedono l’America Latina come lo scenario prediletto. A motivare la scelta sono due fattori: in primis, la regione vede Argentina, Cile e Bolivia come i Paesi con le riserve più grandi al mondo – l’80% delle riverse di litio al mondo si troverebbe in queste tre nazioni –. Inoltre, in tutti e tre i Paesi menzionati la Cina è un attore dalla presenza estremamente influente, come nel caso della Bolivia: all’interno del Paese la Cina ha partecipato alla costruzione della diga Rositas e la Bolivia sarà a sua volta destinataria di fondi legati alla Belt and Road Initiative. In Cile, invece, nel 2018 la compagnia cinese Tianqi ha fatto scattare l’intervento dell’autorità antitrust per l’acquisizione del 24% della Società Chimica e Mineraria, all’epoca la seconda azienda produttrice di litio al mondo, procedendo poi all’acquisto per 4.1 miliardi di dollari.

A livello globale la Cina è senz’altro l’attore principale per quanto riguarda il litio, dalla sua estrazione al riutilizzo delle batterie. Secondo il Financial Times, la Cina possiede l’83% della miniera del litio Mariana in Argentina, nonché il 50% del progetto di estrazione pianificato Caucharl-Olaroz sempre in Argentina ed il cui avvio è atteso per i primi mesi del 2021. Non solo: la Cina è anche in Irlanda, con la sua quota del 55% del progetto Avalonia; in Australia con il 50% delle quote di Mount Marion; il 51% della miniera di litio di Greenbushes, sempre in Australia; in Messico con la miniera di litio programmata dalla Bacanora Minerals, di cui la Cina possiede una quota del 30%.

La Cina è divenuta un significativo esportatore di carbonato di litio nel 2018 con un export di circa 11.131 tonnellate ed un export di idrossido di litio cresciuto del 40%, mentre nello stesso periodo le importazioni calavano del 20% – un segno, secondo Benchmark Mineral Intelligence, dell’accresciuta autosufficienza del gigante asiatico su questo fronte –. Inoltre, sempre il Financial Times riporta come secondo Benchmark Mineral Intelligence la Cina, in data aprile 2019, abbia prodotto più del 60% del litio mondiale rispetto a meno dell’1% prodotto dagli Stati Uniti.

L’ultimo step della filiera del litio, quello che riguarda la fine dell’utilizzo delle batterie ed il recupero dei materiali in esse contenuti, è a sua volta terreno di competizione fra la Cina e gli altri Paesi. In palio c’è il recupero pressoché integrale dei componenti principali delle batterie, come il cobalto, il nickel, il rame e l’alluminio. Nel settore del riciclo stanno investendo le stesse aziende cinesi che si occupano della produzione di batterie, garantendosi la possibilità di dominare anche nella fase finale del ciclo del litio.

La chiave del successo cinese non è tanto nel possesso effettivo della risorsa – il litio – all’interno del proprio territorio nazionale. Su questo aspetto altri Paesi come le già citate nazioni sudamericane o l’Australia – la quale deterrebbe il 40% della produzione globale di litio secondo Benchmark Mineral Intelligence (dati del 2018 citati dal Financial Times) – sono decisamente avanti rispetto alla Cina. L’ambito su cui Pechino vuole distinguersi dal resto del mondo è la conoscenza, ovvero le competenze necessarie per produrre le batterie al litio tanto necessarie alla mobilità elettrica e ad altri settori.

Il valore geopolitico di questi dati è stato confermato dalla stessa Unione Europea, la quale nel 2019 ha espresso l’intenzione di supportare tramite un prestito di 350 milioni di euro della Banca Europea degli Investimenti (BEI) la società svedese Northvolt, specializzata proprio nella produzione di batterie in litio. L’intento è quello di sovvenzionare la costruzione di una gigantesca fabbrica a Skelleftea, nella Svezia settentrionale, dove c’è un distretto industriale favorevole per chi opera nel settore minerario ed il progetto di Northvolt includerebbe l’utilizzo al 100% di energia rinnovabile all’interno dei propri processi di produzione per creare, come detto dallo stesso vicepresidente della Bei Andrew McDowell, una “catena del valore verde” di batterie.

Con la necessità di ridurre l’impatto ambientale della mobilità è evidente che non si possa evitare la transizione dal petrolio ad un’altra fonte di energia più pulita, fattore che espone l’Occidente al confronto con una nazione, la Cina, che ricopre un ruolo fondamentale nella filiera di una delle principali alternative al petrolio e che ha manifeste ambizioni egemoniche. Per questo motivo, la mobilità elettrica è un settore che presenta un fattore di rischio in termini geopolitici, con la possibilità che la dipendenza nei confronti della Cina venga accresciuta a causa del suo vantaggio competitivo su pressoché ogni passaggio della filiera. In questo contento il focus sull’idrogeno assume un valore non esclusivamente legato alla transizione energetica ed alla sostenibilità – obiettivi peraltro estremamente importanti e da perseguire con rigore – ma include anche una componente strategica: perseguire la transizione senza accrescere l’influenza cinese nei propri confronti.

Progetti ambiziosi e rischi connessi

L’idrogeno è dunque sempre più parte della visione strategica delle nazioni per quanto concerne il futuro dell’energia. Visti gli elementi geopolitici che fanno parte dell’insieme, è prevedibile che sempre più documenti e linee programmatiche si focalizzeranno in maniera esclusiva o determinante sull’idrogeno sia in ottica strategica che climatica, seguendo anche il trend di alcune organizzazioni internazionali come l’Irena, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile: quest’ultima ha espresso le proprie considerazioni sull’idrogeno all’interno del suo report “A New World. The Geopolitics of the Energy Transformation“, evidenziando come l’idrogeno rinnovabile prodotto tramite elettrolisi “potrebbe permettere alle rinnovabili di espandersi all’interno di un crescente ambito di settori difficilmente elettrificabili” come la mobilità aerea e marittima.

Essendo sia l’idrogeno che le rinnovabili fonti puliti ed ampiamente disponibili, la loro sinergia contribuirebbe agli obiettivi di sicurezza energetica delle nazioni senza compromettere la decarbonizzazione. Il report dell’Irena ricorda però come la dipendenza da combustibili come l’idrogeno – nonché dai materiali necessari per costruire le tecnologie per le rinnovabili – potrebbe determinare nuove forme di dipendenza e vulnerabilità, elemento che bisognerà considerare qualora i Paesi europei decidano di intraprendere questo percorso magari proprio per ridurre la dipendenza dalla filiera del litio.

Come è prevedibile, ogni scelta chiuse alcune possibilità e ne apre delle altre e questo riguarda sia le opportunità che i rischi che potrebbero emergere. L’idrogeno, naturalmente, non è da meno ed essendo ancora un ambito emergente ci vorrà del tempo prima di capire quale strategia ed interesse prevarrà. Nell’attesa, questo articolo ha cercato di fornire un orientamento non esaustivo di come stiano procedendo le cose, al fine di avere le idee più chiare man mano che il dibattito prosegue.

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