Emmanuel Macron si è imbarcato, nel suo primo biennio da Presidente francese, in un progetto ambizioso di riorientamento delle prerogative politiche europee attorno all’asse franco-tedesco, non centrandole necessariamente sull’Unione europea ma, in un certo senso, superandola, come nel caso della creazione di campioni industriali e di politiche di difesa continentali.

Nell’asse con Berlino, Parigi è sempre stata un vero e proprio junior partnerdato che la preponderante forza economica e politica della Germania esercitava sulla Francia un’influenza considerevole. La Francia, prima con Hollande e poi con Macron, ha voluto consolidarsi come Paese “nordico”, sostenendo di fatto il governo di Angela Merkel, a parte alcune critiche più cosmetiche che reali, sull’austerità, sul bail-out dei Paesi in difficoltà e sulla concentrazione del potere decisionale in seno al continente sull’asse carolingio dei Paesi del Nord.

Negli ultimi mesi, la Germania è entrata in affanno proprio sul terreno economico che ne rappresenta il primario fattore di forza. La crisi industriale, il tracollo di Deutsche Bank, la sfiducia negli investitori e la mancanza di una salda guida politica per la crisi della coalizione di governo indeboliscono il governo di Angela Merkel a pochi mesi di distanza dalla firma dello storico Trattato di Aquisgrana. In tale contesto, la Francia ha, sorprendentemente, presentato in diversi casi indicatori economici migliori di quelli del vicino renano.

Un commentatore notoriamente favorevole nei confronti di Parigi come Federico Fubini del Corriere della Sera ha commentato in maniera positiva l’ipotesi di uno stato di salute migliore dell’economia dell’Esagono rispetto a quella della Germania: “La Francia sta iniziando a mostrare una dinamica dell’economia migliore rispetto alla Germania. Per sei degli ultimi dodici trimestri, dunque negli ultimi tre anni, la Francia ha registrato una performance di crescita superiore alla vicina dell’altra sponda del Reno e per il resto del tempo il suo tasso di aumento del Pil è stato sostanzialmente allineato a quello tedesco (qui i dati). Nell’ultimo anno la Germania ha già fatto registrare due trimestri di contrazione dell’economia, mentre la Francia nessuno”.

Ma è vero che questo rende possibile alla Francia proporsi come modello alternativo a quello tedesco? No, perché nel contesto dell’Europa a trazione tedesca la Francia è una delle poche eccezioni ammesse. E nel contesto sfavorevole per la Germania, di recente, rischia di ricadere anche la potenza transalpina. La produzione industriale francese ha registrato un netto calo a giugno, soprattutto per il peggioramento dei settori farmaceutico e metallurgico: l’output è sceso del 2,3% su mese, in maniera ancora più netta che in Germania. La Francia ha riequilibrato i dati con Berlino forte del miglior stato di salute del suo sistema finanziario (Bnp Paribas e Credit Agricole sono colossi a livello europeo) e, soprattutto, dell’attività dei suoi colossi a partecipazione pubblica come Thales e Total. La Francia è l’eccezione tollerata da Berlino perché potenza necessaria, col deterrente nucleare e la sua influenza militare, finanziaria e strategica, a dare sostegno geopolitico alle sue manovre economiche. Parigi tollera il mercantilismo tedesco, Berlino non trasforma in azione geopolitica la sua penetrazione commerciale, in un equilibro che regge solo finché mutualmente vantaggioso.

Ma se Atene, cioè Berlino, piange, Sparta-Parigi non ride: tante e irrisolte sono le contraddizioni che la presidenza di Emmanuel Macron deve affrontare. La stagnazione dei redditi e la carenza dei servizi nelle aree periferiche del Paese, l’assenza di investimenti, le rivendicazioni sui diritti del lavoro e sulla lotta alle disuguaglianze di movimenti di protesta come il gilet gialli, l’isolamento delle periferie: fattori di rischio che minano la coesione interna del Paese, la distribuzione della crescita e la sua inclusività e che non sono risolvibili esibendo la “force de frappe”. Il sorpasso su Berlino, per Parigi, è molto lontano: e presto sia Francia che Germania potrebbero trovarsi costrette ad anteporre il fronte economico interno alle loro strategie europee inscritte nell’accordo di Aquisgrana.

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