Dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Occidente ha imposto diverse sanzioni nei confronti del gas e del petrolio russo, pilastri dell’export di Mosca e quindi degli introiti del Paese. Ma tra l’imporre le sanzioni e bloccare concretamente il mercato c’è una differenza sostanziale. E l’oro nero del Cremlino è diventato nel tempo uno dei beni più difficili da bloccare da parte delle potenze occidentali.

La questione è molto ampia e riguarda principalmente due grandi punti interrogativi. Il primo è come far rispettare questo impianto sanzionatorio a un mondo che, al di là dell’Occidente, appare molto restio a isolare la Federazione Russa o privarsi delle sue riserve energetiche. Il secondo è come limitare un traffico che si muove canali non sempre trasparenti, in un mondo, quello della navigazione, che opera, nei settori più “borderline”, con navi battenti bandiere di Paesi minuscoli, paradisi fiscali, appartenenti a società di comodo o con connessioni più o meno oscure con determinati governi o organizzazioni.

Sotto il primo aspetto, il tema è di ordine politico e sembra abbastanza difficile da poter sradicare. Gli Stati Uniti premono da ormai un anno e mezzo per far sì che i Paesi oltre i membri della Nato spezzino i legami con la Federazione Russa. Ma specialmente in quello che è il “sud del mondo”, le cose appaiono molto più rarefatte. Ne è un esempio l’India, che dall’inizio del blocco occidentale al petrolio russo, ne è diventata uno del maggiori acquirenti e anche a prezzi molto più bassi del solito. Mosca del resto deve liberarsi del petrolio che non giunge nei mercati europei e deve a sua volta consolidare l’asse con Nuova Delhi. L’India, dal canto suo, ha bisogno di pompare energia a basso costo in un Paese in crescita e con una popolazione in aumento. E non ha interesse a interrompere questo commercio a fronte di scelte che sono sicuramente più costose. In tutto questo, l’Unione europea ha rivelato negli ultimi mesi un curioso aumento di prodotti raffinati, in particolare benzina, provenienti dall’India. E dal momento che il Paese asiatico non ha attivato nuovi giacimenti né raffinerie, Bruxelles ha compreso che si tratta di un’enorme elusione delle sanzioni anche da parte dei suoi membri.

Il sistema è paradossalmente simile a quello che accade, al contrario, per prodotti con divieto di esportazione in Russia. Come ricorda un’analisi di Ispi, le sanzioni che bloccano il trasferimento di prodotti dual-use tra cui semiconduttori, droni e tecnologie varie possono comunque arrivare nel Paese di Vladimir Putin “triangolando le rotte commerciali con gli Stati che non applicano le sanzioni, la maggior parte al di fuori del blocco occidentale. I principali indiziati sono da tempo Georgia, Turchia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan. E in efftti, sempre secondo Ispi, “dall’inizio del conflitto, le esportazioni europee verso questi Paesi sono aumentate rispettivamente del 35, 42, 221, 231 e 743%. Variazioni decisamente sospette, di gran lunga superiori al trend pre-invasione”.

Tornando al tema del petrolio, il problema riguarda anche gli strumenti per effettuare questi scambi, ovvero le navi. Il Wall Street Journal ha di recente fatto luce su una “flotta fantasma” con base in Turchia che, attraverso accordi specifici, assenza di contratti di assicurazione e acquisti di petroliere riesce sostanzialmente a commerciare petrolio di Mosca evitando le sanzioni occidentali. Molti carichi sono stati effettuati a Kozmino, nell’Estremo Oriente russo, e hanno di fatto contraddetto anche gli avvertimenti globali del Dipartimento del Tesoro americano. Questa flotta è solo una delle tante che hanno operato o operano in questi anni in una zona grigia del mercato petrolifero russo nel mondo. Anche il Financial Times aveva lanciato mesi fa l’allarme su una flotta “fantasma” allestita da Mosca per vendere il petrolio eludendo le sanzioni dell’Occidente. E i numeri delle petroliere vendute a società ignote, come ricordato su InsideOver, sono aumentate proprio dall’inizio della guerra in Ucraina. Del resto, il problema era stato messo in luce anche quando si parlava delle prime misure sanzionatorie nei confronti degli idrocarburi russi. Alcuni Paesi dell’Unione europea, in particolare Grecia, Malta e Cipro, avevano sottolineato il conto salato del blocco del petrolio russo nei porti europei per Stati in cui gli armatori avevano e hanno un ruolo centrale. Elemento che implica come quel flusso di oro nero russo attraverso il mare fosse essenziale prima della guerra e continui a esserlo anche oggi.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.