Negli Stati Uniti ultimamente si dibatte molto sul futuro del governatore della Federal Reserve Jerome Powell, che nei prossimi mesi l’amministrazione Biden dovrà decidere se rinnovare o meno per un secondo mandato. E il dibattito dice molto della discussione sul ruolo politico futuro delle banche centrali del pianeta.
Maretta su Biden
Nel Partito Democratico americano c’è maretta, come su altri dossier tra i molti che la Casa Bianca deve gestire dopo la rotta afghana, e la principale divergenza su Powell appare quella che divide l’ala più moderata del partito dai radicali di sinistra, con questi ultimi fortemente ostili alla riconferma del banchiere alla guida della Fed e che lo accusano di ben pochi sforzi contro la gestione della crisi del Covid-19 sotto il profilo dell’equità e della redistribuzione.
Scrivendo una lettera a Biden in cui chiedono un “approccio politico organico” tra governo e autorità monetaria per espandere gli sforzi federali contro il cambiamento climatico i membri della sinistra radicale guidati da Alexandria Ocasio-Cortez, che hanno esplicitato la loro contrarietà a Powell, hanno in un certo senso rivelato un’importante questione sulla Fed e le altre banche centrali. Ovvero esplicitato la dualità intrinseca tra cui si dividono le banche centrali odierne, che dagli Anni Ottanta in avanti hanno per legge e fattualmente conquistato autonomia operativa, al tempo stesso organi tecnici e strutture propriamente politiche.
L’impegno delle banche centrali
Dopo la Grande Recessione, a partire dallo sdoganamento completo del quantiative easing, fattosi globale e dinamico, mano a mano che la Fed avviava il percorso di immissione nel mercato mondiale di migliaia di miliardi di liquidità questo dualismo si è fatto sempre più profondo.
Le banche centrali hanno agito in forma indipendente, certamente, ma mai senza coordinazione con la politica a cui hanno garantito una sponda non indifferente sostenendo l’inflazione e coprendo, dopo lo scoppio della pandemia, buona parte dei deficit nazionali. I membri della Sinistra democratica percepiscono questo dualismo, fatto di mosse sostanzialmente politiche operate attraverso artifici tecnici come le immissioni di liquidità e il controllo dei tassi, ma non colgono appieno il fatto che lo sforzo organico è già in corso e che, come sottolinea Axios, certamente se Powell interpreta con limitata prospettiva un mandato ampio è perché lo spazio è già passato alla politica. O, per chiarificare, che la condizione strutturale creata dalle banche centrali negli ultimi anni è diventata la nuova normalità, il quadro di riferimento entro cui si muovono le economie avanzate.
Le banche centrali sono politiche
La scelta di avviare prima e proseguire poi i Qe è stata una mossa politica, e la scelta di banche centrali come la Bce di Mario Draghi di orientare sul fronte finanziario e non dirigere le politiche espansive europee al finanziamento diretto dei deficit nazionali, per trovare un compromesso con la Germania di Angela Merkel, non è stata molto differente. Stessa storia, più di recente, per il Pandemic Emergence Purchase Plan della Bce ispirato da Philip Lane, deus ex machina dell’era Lagarde, che ha abbattuto i vincoli in termini di acquisto titoli. Le misure del governo giapponese per blindare con la strategia della completa “nipponizzazione” del controllo sul debito pubblico il modello sociale interno, permettendo la stabilizzazione di un sistema a demografia calante, inflazione nulla e crescitsa ridotta grazie al rafforzamento del patrimonio dei cittadini, sarebbero state infattibili senza la Bank of Japan.
Il dibattito su Powell segnala che il risultato politico delle banche centrali, dalla Grande Recessione in avanti, è stato talmente centrato da esser ritenuto un presupposto per qualsiasi dialogo sul futuro: si dà per scontato che, anche nell’opzione minima, la banca centrale sia interventista e, al massimo, si chiede un coordinamento diretto con la leva finanziaria. Fattispecie che del resto è già concreta negli Stati Uniti da inizio pandemia e con la “sterilizzazione” dei debiti pubblici da parte della Bce de facto sta prendendo piede anche nel Vecchio Continente.
La sinistra dem, quindi, attaccando Powell non si rende conto che non è la banca centrale a doversi fare più politica, ma l’intero sistema capitalista a essersi fatto essenzialmente tale, dopo che il Covid-19 ha richiamato in campo gli Stati con investimenti massicci, politiche di contenimento della disoccupazione e delle crisi aziendali, rafforzamenti del welfare. E anche se le banche centrali non possono finanziare posti di lavoro, investimenti, piani di sviluppo, possono senz’altro contribuire a creare il contesto ottimale perchè essi prendano forma abbassando il costo del denaro e garantendo liquidità. La rapidità di decisione con cui un piano di stimoli o un taglio di tasso d’interesse diventa esecutivo accelera la trasmissione alla politica economica: il segreto delle banche centrali sta nella loro capacità di essere sempre pienamente operative e pragmatiche. E questo è un potere di influenza pienamente politico, che i decisori sul fronte della politica fiscale, a prescindere dal fatto che la banca centrale si muova indipendentemente o meno da essi, sfruttano sempre per programmare le proprie scelte con maggiore sicurezza.