A capo di un sistema criminoso, rodato per anni e alimentato da connivenze e silenzi a inizio millennio Callisto Tanzi provocò con il crac Parmalat un buco nero da 14 miliardi di euro. Allora sembrò una tempesta finanziaria impressionante, ma in seguito il 2007-2008 e quanto ne è seguito ci hanno insegnato che non c’è limite alla dimensione dei crac e degli scoppi delle bolle nella finanza mondiale.

E così può capitare che anche un mercato settoriale e limitato come quello della cannabis via via liberalizzata tra Usa e Canada riesca a mandare in fumo cifre superiori a quelle di grandi fallimenti finanziari del passato. Recentemente in borsa si stanno infatti via via sgonfiando le “cannastocks”, le società quotate che operano nel settore della cannabis legale che in questi anni hanno si sono quotate in Borsa. E lo stanno facendo con un ritmo impressionante: sono già 30 i miliardi di dollari svaniti, esplosi assieme alla bolla delle società che fino al 2018 si erano quotate promettendo e nelle prime battute garantendo rendimenti in doppia e tripla cifra alle azioni.

La legalizzazione della cannabis da parte del Canada di Justin Trudeau nel 2018 ha provocato un rally borsistico di ampia portata che, come prevedibile, ha avuto come seguito una repentina deflagrazione. Troppo alte le capitalizzazioni, troppo alte le aspettative, troppo sprovveduti certi investitori in cerca di rendimento facile che hanno dimenticato che all’high-yield (l’alto rendimento) in borsa si associa sempre l’high risk. L’effettiva applicazione della riforma ha mostrato come a elevate aspettative non corrispondessero prospettive di guadagno bilanciate.

Confrontare le quotazioni odierne delle industrie della cannabis con quelle del settembre scorso è, per molti investitori, desolante. Come scrive Il Sole 24 Ore, “ci sono titoli, come Tilray (azienda canadese di cannabis terapeutica quotata al Nasdaq) che a settembre dello scorso anno capitalizzavano quasi 20 miliardi di dollari e, dopo che il titolo ha perso più del 90%, oggi valgono poco più di due. Un altro titolo molto noto, quello della canadese Aurora Cannabis, è passata dal valere oltre otto miliardi di dollari agli attuali 2,7″. Le quotazioni medie dei cannastocks erano arrivate a 10 volte i patrimoni delle società e 64 volte i loro ricavi: uno squilibrio irreale.

Il ritiro massiccio del parco di base di investitori privati, più umorali e impazienti della media dei compratori istituzionali, ha provocato lo scoppio della bolla, ma non è detto che tutto il male venga per nuocere. “Oggi questi multipli si sono stabilizzati rispettivamente a quota 1,87 e 8,5 volte. Sono numeri a premio rispetto al resto del mercato, come è giusto che sia per un comparto in forte crescita, ma su livelli più ragionevoli che in passato”. In altre parole, una bolla nella fase iniziale del mercato della cannabis potrebbe averne scongiurata una, ben più grave, più avanti e aver salvato le aziende produttrici da un disastro irrimediabile.

Quel che è certo è che, indipendentemente dal sottostante, la “logica” delle bolle finanziarie appare simile in ogni contesto. Nuovo prodotto, mania per i titoli che lo riguardano, sgonfiamento, panico tra gli investitori, tracollo del titolo. Le cinque fasi descritte dal grande storico Charles P. Kindleberger in uno dei testi chiavi della storia finanziaria datato 1978 (Manias, Panics, and Crashes: A History of Financial Crises, saggio più volte aggiornato fino ai giorni nostri) andrebbero studiate e comprese da ogni investitore prima di fare una sola mossa in borsa. Ma la finanza, si sa, è cattiva discepola e ignora gli insegnamenti di una storia che, se conosciuta, aiuterebbe a prevenire disastri.





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