La guerra in Ucraina nei suoi primi cento giorni ha indubbiamente cambiato molte dinamiche politiche, strategiche ed economiche su scala globale e dopo l’annuncio della svolta monetaria della Banca centrale europea, tornata a alzare i tassi dopo undici anni di politica accomodante, molti analisti attribuiscono la svolta di Christine Lagarde a un vero e proprio “effetto Putin“. Nei giorni in cui, in Italia, i Btp volano, lo spread impenna e l’incertezza cresce è difficile non pensarlo a un primo sguardo.

In sostanza si appiattisce sulla guerra scatenata dalla Russia a Est la dinamica che ha visto negli ultimi mesi i prezzi delle materie prime accelerare, la crescita economica post-Covid rallentare e, soprattutto in Europa, il costo della vita esplodere senza che prima si fosse completamente dispiegata la ripresa dei consumi e degli investimenti. Sul Corriere della Sera, in particolare, Federico Fubini ha sottolineato che la principale responsabilità dei rincari sta proprio nelle scelte di Mosca: “La persona più influente per le scelte della Banca centrale europea oggi non siede a Francoforte, né in una delle capitali dell’area euro. Quella persona sta al Cremlino”, chiosa Fubini, aggiungendo il fatto che a suo avviso “si può pensare all’inflazione europea più come a una tassa da circa due punti di prodotto interno lordo che paghiamo ad Arabia Saudita, Algeria, Norvegia o a Putin stesso per materie prime il cui prezzo oggi è scandito dal rombo dei cannoni nel Donbass”.

Ci sono elementi di verità in quel che dice Fubini: l’incertezza bellica aumenta senz’altro la problematica economica per i Paesi messi maggiormente sotto pressione dalla crisi, specie sul fronte degli approvvigionamenti energetici e alimentari; Vladimir Putin e il suo governo puntano sulla weaponization delle materie prime che la Russia controlla come strumento di alleggerimento delle sanzioni economiche; la dipendenza da fornitori esterni, soprattutto per i Paesi europei, è una voce sempre più importante nei bilanci delle aziende e dei governi europei. Ma non possiamo seguire l’editorialista di Via Solferino nel momento in cui, parlando della dipendenza dei prezzi dai “cannoni nel Donbass”, afferma che “tacessero questi, quello crollerebbe”.

Il dato in realtà è strutturale. Le tre crisi legate tra di loro e accelerate dalla guerra in Ucraina pre-esistevano, per quanto in forma quiesciente, al conflitto: stiamo parlando della crisi energetica, della crisi alimentare e dell’impennata dell’inflazione. Le mosse di  Putin e le conseguenti sanzioni occidentali hanno avuto un effetto paragonabile a quello del Covid-19 sul contesto geopolitico globale del 2020, fungendo da catalizzatore ma non da causa scatenante di tali crisi. Su Inside Over abbiamo, per esempio, già in tempi non sospetti evidenziato i problemi causati dalla folle corsa dei prezzi delle materie prime e dell’energia nella seconda metà del 2021.

Il Financial Times, in quest’ottica, ha sottolineato già nel settembre scorso come la situazione sui principali mercati delle commodities, nel corso dei mesi del rilancio dell’economia globale, si sia praticamente ribaltata rispetto a un problema iniziale di deperimento della domanda rispetto alla capacità di offerta dei mercati dopo lo scoppio della pandemia. Si è entrati, come ha scritto Gianclaudio Torlizzi in Materia rara, in un cosiddetto “superciclo” in cui la corsa della domanda non è corrisposto da quella dell’offerta. E le motivazioni sono molteplici: si va dall’incapacità dei sistemi economici occidentali di gestire le scorte al surriscaldamento della domanda globale imposto dagli stimoli economici di Usa e Regno Unito, passando per la strategia cinese di fare scorte in prospettiva di questa fase critica.

La crisi delle materie prime e il boom post-Covid ha prodotto la crisi dei semiconduttori (che persiste) e, secondo problema legato alla guerra, la crisi alimentare.  Le quotazioni delle materie prime alimentari hanno raggiunto già a fine 2021 il massimo dal 2011, e il rincaro dei prezzi dell’energia ha comportato ulteriori aumenti nei costi di produzione: l’indice della Fao è esploso col conflitto ma già a fine 2021 segnalava un aumento annuo dei prezzi medi dei generi alimentari del 27,3%.

E l’inflazione? Cresce e corre, certamente, dopo lo spartiacque del 24 febbraio, ma pre-esisteva già al conflitto. In Italia e Europa siamo ai massimi dagli Anni Ottanta, ma già a fine 2021, per il combinato disposto di crisi energetica, rincari alimentari e incertezza, era in volo da tempo. Negli Usa di Joe Biden, a causa del surriscaldamento dell’economia legato alla spesa pubblica, il tasso annuo di inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto il 6,2% nell’ottobre 2021. L’inflazione non sarà passeggera”, ammoniva nel dicembre scorso l’economista Alberto Quadrio Curzio sull’Huffington Post, “perché quando la stessa si incardina nei prezzi delle materie prime, unite a politiche fiscali e monetarie, eccezionalmente (ma necessariamente!) espansive, le correzioni richiedono sempre tempo”.

Putin ha fatto esplodere un contesto già di per sé magmatico. Certamente, e qua Fubini centra il punto, è il timore delle mosse russe a mettere sotto pressione l’Eurotower e a far pensare all’inflazione come vero incubo per l’Unione Europea. Ma la guerra acuisce, non crea, questa condizione di fragilità strutturale: la realtà dei fatti parla di una crisi strutturale delle dinamiche della globalizzazione, dei costi dei commerci e della gestione delle catene del valore che penalizza chi non controlla le determinanti fonti strategiche (dal gas al grano, dal litio alle terre rare) che alimentano l’industria e le produzioni più importanti per lo sviluppo economico. Con l’Europa vittima designata. La guerra in Ucraina ha accelerato la tempesta perfetta, ma non l’ha creata. Reagire con la logica del 2011, che apre a nuovo rigore e nuova austerità, a un rischio di recessione può essere letale per l’Europa. Oggi la priorità è garantirsi sicurezza nelle forniture, tutela delle produzioni e difesa dell’occupazione e dei redditi per far sì che sia un vero sviluppo a contrastare il caos economico globale. Indipendentemente da Putin: e la Bce dovrà essere brava a mandare messaggi positivi in materia di sostegno alla ripresa europea, evitando di mostrarsi come intenta a giocare in reazione alle pressioni altrui.





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