La Cina da molto tempo sta adoperandosi con dedizione per estendere la propria influenza in Africa. Non è difatti incidentale che, entro un ristretto lasso temporale, potrebbe giungere finanche a sostituirsi, in certi determinati meccanismi e gangli interni al continente, niente di meno che alla Francia: il Paese che, tradizionalmente, da decenni ha intrecciato la propria economia e la propria politica con alcuni Stati di quell’opulento continente, per il passato coloniale che li ha vicendevolmente concatenati. L’attenzione del Dragone, infatti, recentemente è stata posta e rivolta verso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas in inglese, Cedeao in francese), composta da ben 15 Paesi, molti dei quali sono rappresentati da ex colonie francesi. Ad Abuja, in Nigeria, il 29 giugno 2019 sono stati definiti gli aspetti caratterizzanti e le peculiarità fattuali di una nuova moneta africana, la quale entrerà in vigore nel 2020, e che coinvolgerà la succitata zona commerciale: l’Eco.

Questa novella valuta si aggancerà allo yuan cinese, con il fine di avere in tal modo una certa stabilità internazionale, e così contrastare le possibili volatilità ed oscillazione del valore monetario che altrimenti potrebbero venire in essere, senza una solida base valutaria dietro. Il principale fulcro del progetto è quello di favorire gli scambi interni a quella vasta area commerciale: un obiettivo che, invero, risale nel tempo di diversi lustri. Capo Verde, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone rinunceranno alle rispettive valute nazionali; Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo invece rinunceranno al Franco Cfa.

Come qualunque area valutaria, anche in questo caso fra gli Stati che vi aderiranno sarà necessaria una convergenza delle rispettive caratteristiche economiche, per poter gestire meglio, ed al meglio, i nuovi crismi dei rapporti commerciali che li coinvolgeranno. I criteri – a dir la verità, sinora soddisfatti soltanto dal Ghana – sono:

  • un rapporto deficit/PIL non superiore al 4%;
  • un’inflazione stabile attorno al 5% (partendo da un iniziale valore più alto, del 10%);
  • delle riserve primarie che coprano i primi tre mesi di importazione;
  • la possibilità di monetizzazione del deficit, per ogni Stato, attraverso la Banca Centrale, per un valore del 10% rispetto alle entrate fiscali dell’anno precedente.

Al di là delle proprietà e delle caratteristiche tecniche della futura moneta Eco, la sua importanza risiede – con adamantina chiarezza – nella sotterranea battaglia per l’influenza ed il peso esercitati sul Continente Nero da parte della Cina, da una parte, e della Francia, dall’altra: uno scontro dove non si mercanteggia con l’avversario, ma semplicemente si cerca di scalzarlo dai suoi territori di competenza, attraverso la diplomazia politico-economica intrapresa con i Paesi africani, coinvolti in qualità di partner, ma anche costituenti un terreno di combattimento. La Francia, nondimeno, ha dimostrato preoccupazione per questa iniziativa: tradizionale e radicato, infatti, risulta l’esercizio dei suoi controllo e condizionamento nei confronti di numerosi territori africani, per lo più ex colonie le cui politiche economiche e monetarie (in maniera più o meno velata) sono da tempo legate mani e piedi all’ex Paese colonizzatore. Il quale, senza ombra di dubbio, ne ha tratto giovamento: non fu un’opinione isolata la profezia di François Mitterand espressa ancora nel lontano 1957: “Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel XXI secolo”.

I “modus operandi” con i quali queste relazioni vengono tenute in piedi sono svariati: la forza militare esercitata attraverso delle basi straniere; la collusione politica delle classi dirigenti locali; la complementarietà fra materie prime grezze, da un lato, e prodotti industriali, dall’altro; lo strumento monetario rappresentato dal Franco Cfa. È esattamente quest’ultimo strumento – o, in maniera più precisa, la sua sostituzione o sublimazione – ad essere il vero spartiacque fra un vecchio mondo di relazioni economiche, dominato dalla Francia, ed uno nuovo, in mano invece alla superpotenza cinese. La moneta Eco, infatti, si aggancerebbe allo yuan, soppianterebbe in ben otto Paesi il Franco Cfa e darebbe vita, inevitabilmente, a nuovi equilibri. Il Franco Cfa, per l’appunto, viene da tempo denunciato da attivisti panafricanisti, quali Kemi Seba e Mohamed Konarè – sulla scorta di Thomas Sankara -, o da intellettuali come Ndongo Samba Sylla (autore, assieme alla giornalista francese Fanny Pigeaud, del libro “L’arma segreta della Francia in Africa”), come un invasivo strumento di colonialismo finanziario francese, addebitato come una tra le principali (e diverse) cause della difficoltà dei Paesi africani ad imboccare la strada dell’emancipazione.

I responsabili nazionali dei 15 Stati dell’Ecowas-Cedeao hanno scelto di aderire a questa nuova area valutaria, con un co-protagonismo del fu Celeste Impero, per diverse ragioni: la possibilità di un affrancamento dal soffocante e stringente controllo francese; il riconoscimento dell’impegno cinese negli ultimi anni a contribuire allo sviluppo africano; la concreta possibilità di dare vita ad uno scambio internazionale efficace delle rispettive merci. L’aggancio dell’Eco allo yuan cinese, dunque, si configura come un diverso orientamento del futuro di questi Paesi (abitati da oltre 350 milioni di persone), secondo un’ottica duplice, come poc’anzi accennato: cercare di liberarsi di quell’influenza francese da molti ritenuta oramai stantia, e la cui forza peraltro si lega ad altre regole stringenti di un’ulteriore area valutaria, quella dei Paesi dell’euro (valuta emessa dalla Bce); volgere il proprio sguardo sempre più verso Oriente, concretizzando un progetto pensato già alla fine del secolo scorso. Non è casuale che, proprio in tempi recenti, la Cina abbia investito centinaia di miliardi nello sviluppo dell’Africa, dando vita ad infrastrutture soprattutto nei settori secondario e terziario ed impiegando tanto manodopera locale quanto manodopera d’importazione (cinese naturalmente, e per lo più specializzata). Senza contare gli accordi inter-governativi con i vari capi di Stato, la presenza militare nel Continente Nero ed il sempre più diffuso soft- power del Dragone (taluni Paesi africani hanno principiato ad insegnare il cinese mandarino nelle scuole).

Per tutti questi Stati africani, il gioco è valso la candela: cercare di sganciarsi, anche parzialmente, dalla Francia, per salire invece sul “treno giallo”, a livello economico e per diretta conseguenza pure politico. Cercando, al contempo, di corroborare sia i circuiti economici interni sia quelli internazionali – che li legano ed annodano gli uni agli altri. Essi hanno compiuto la scelta di aderire ad un’altra unione, che avrà anch’essa delle cosiddette “proprietà eterodirette” (l’aggancio allo yuan, pur più leggero nel funzionamento rispetto a quello del Franco Cfa): un’unione la quale, necessariamente, assieme alle sue certezze e previsioni positive, ha per i Paesi africani coinvolti i suoi contorni di ignoto. Un ignoto, d’altra parte, molto meno sfumato per la Cina, che con quest’operazione estenderebbe ulteriormente il (suo) Beijing Consensus, in un continente ricchissimo, crocevia di commerci e – per di più – tradizionale giardino di casa delle multinazionali del mondo occidentale. Un aspetto della questione, peraltro, tutt’altro che secondario.