Nella percezione mediatica o quotidiana, le crisi finanziarie o le situazioni di problematicità per banche, fondi e sistemi borsistici appaiono come eventi improvvisi, scatenatisi dall’oggi al domani, imprevedibili. Molto spesso gli economisti hanno lanciato allarmi non concretizzatisi o hanno peccato di leggerezza di fronte a sintomi evidenti. Lo studio dell’economia non è una “previsione del passato” volta a determinare perché determinati sintomi sono stati ignorati, come accaduto nel recente esempio del 2007. Ma l’economia non è nemmeno un blocco monolitico: e quelle che al grande pubblico e, molto spesso, ai decisori politici appaiono slavine improvvise molto spesso sono attese dall’inner circle della finanza, specie nel campo delle banche.

Una crisi finanziaria o bancaria, infatti, impatta in maniera diversa a seconda delle modalità con cui viene comunicata. Dalla tempistica alle informazioni più riservate sull’entità del danno, ad esempio, una comunicazione a mercati chiusi o aperti può fare la differenza tra la disponibilità di un periodo di tempo per digerire le notizie o una tempesta borsistica.

Ad esempio, sottolinea Libero, “il Fondo interbancario di tutela dei depositi non rende note le valutazioni di rischio su cui si basano gli impegni a carico ciascuna banca aderente. Se così non fosse, la semplice classificazione di rischio porterebbe da sola gravi scompensi nella raccolta degli istituti, per non parlare dell’ utilizzo improprio che ne verrebbe fatto per screditare reciprocamente la concorrenza”.

Un esempio concreto “è rappresentato da cosa avvenne appena dopo il fallimento Lehman Brothers, quando la Banca d’ Inghilterra sostenne i gruppi Hbos e Royal Bank of Scotland con prestiti segreti pari a 62 miliardi di sterline erogati il 1° di ottobre 2008 a Hbos (25,4 miliardi) e il 7 di ottobre a Rbs (36,6 miliardi) e che furono ripagati, con interessi, in meno di tre mesi”. Non prima di fine 2009 avvenne la comunicazione di questi interventi che, se comunicati apertamente a mercati aperti, avrebbero travolto il sistema finanziario mondiale.

Anche le modalità di reazione dei decisori politici o economici possono fare la differenza. In Italia ricordiamo, dolorosamente, le dichiarazioni della Commissione europea e della Vigilanza Bce sulla solidità dei nostri istituti compiute, in maniera leggera, quando le borse potevano registrare la sofferenza delle banche alle parole leggere delle Margrete Vestager o  Daniele Nouy di turno. Tra il 2015 e il 2016 Mps, Tercas, Banca Etruria e gli altri istituti subirono quotidianamente questo gioco al massacro.

“La discussione tra il ministro Piercarlo Padoan e gli uffici di Bruxelles durò alcuni mesi e finì sotto la pietra tombale della ormai famosa lettera del 19 novembre 2015 (solo pochi giorni prima del fine settimana in cui fu disposta la risoluzione delle 4 banche) firmata dai Commissari Hill e Vestager”, riporta StartMag.

“In tale lettera si stabiliva che gli interventi di soggetti come il Fitd dovevano passare al vaglio della normativa sugli aiuti di Stato, con un doppio alternativo esito: nel caso non fosse stata riconosciuta la loro natura privata, sarebbe stata applicabile la condizionalità prevista dalla direttiva Brrd cioè, in una parola, il sacrificio di azionisti ed obbligazionisti. E chi decideva circa la natura privata o pubblica dell’intervento del Fitd? La Commissione”. Risultato: la risoluzione delle 4 banche e l’azzeramento di decine di migliaia di obbligazionisti. “La storia dei mesi successivi è nota. Una galleria degli orrori disseminata da numerosi dissesti bancari, con l’indice Ftse Banche crollato dei 60% circa nel primo semestre 2016”.

Quando, con una comunicazione più ragionata e un lavoro di sottofondo all’altezza della situazione (nonché con una maggiore dimostrazione di polso da parte del governo italiano) la crisi avrebbe potuto essere notevolmente ammortizzata. Complessivamente, ha sottolineato Lettera43, “è stato di 31 miliardi di euro”, tra 2015 e 2018, “il costo complessivo per il salvataggio di sette banche italiane”, che la Commissione complicò notevolmente impedendo l’intervento del Fitd che recentemente la Corte Ue, accettando l’appello dell’Italia sul caso Tercas, ha deliberato come legittimo. Quasi quattro anni dopo le prime turbolenze, dopo che il nostro Paese ha pagato a caro prezzo la dissennata strategia comunicativa della Vigilanza europea, quasi essa fosse studiata a tavolino per mandare al tappeto i nostri istituti in sofferenza. Siamo disposti, come cittadini, a concedere a banche e decisori politici un doveroso margine di segretezza prima della messa in pubblica piazza di una crisi. A patto che quel tempo sia sfruttato per impedire emorragie più gravi, e che siano poi i tribunali a dover intervenire per i vuoti della politica.

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