Non erano in tanti per strada a Kabul il 31 agosto a festeggiare il decollo dell’ultimo aereo americano. É stata una festa dei talebani, non degli afghani. Questo spiega perfettamente l’attuale situazione nel Paese. Gli studenti coranici non hanno subito una grande resistenza da parte della popolazione, ma nemmeno sono stati accolti come liberatori. Ai cittadini per adesso non importa chi sta al governo, interessa invece tornare ad avere più sicurezza sul fronte economico. Gli afghani sono sfiniti dopo decenni di guerra e devastazione. I talebani potranno quindi guadagnarsi l’appoggio soltanto se le famiglie avranno qualcosa da mangiare. Un’impresa al momento non semplice.
Un’economia ancora bloccata
Quando i talebani erano in procinto di avanzare verso Kabul, tutto è stato congelato. Sono state bloccate le banche e sono stati chiusi i canali di finanziamento dall’estero. I cittadini si sono ritrovati senza la possibilità di prelevare i propri risparmi. Ma non solo. Con le banche chiuse, non si possono erogare gli stipendi e non si possono pagare le merci importate. In tutte le principali città afghane stanno venendo a mancare quindi sia i soldi che il cibo. In molti posti di frontiera con il Pakistan sono presenti lunghe file di camion e autoveicoli destinati ai mercati afghani e impossibilitati ad entrare perché nessuno può acquistare la merce. Una situazione figlia ovviamente del contesto politico mutato repentinamente ad agosto. Buona parte delle riserve dello Stato afghano, circa 7 miliardi di Dollari su un totale di 9, si trovano custodite dalla Federal Reserve americana. A Washington, per impedire che le somme finiscano ai talebani, hanno deciso di congelare ogni bene.
Gli istituti di credito, prima di tornare a riaprire i rubinetti, vogliono precise garanzie dai talebani. Dunque è impossibile per il momento accedere ai canali di finanziamento ufficiali. Una grana importante nell’immediato. Il movimento islamista ha nella sua disponibilità molta liquidità, nel 2020 ha incassato 1.6 miliardi di Dollari frutto dell’export di oppio, delle donazioni dall’estero e delle tasse fatte pagare nei territori da loro controllati. Non basta però tutto questo per poter far funzionare la macchina statale afghana. Il problema è anche a medio e lungo termine. Il “vecchio” Afghanistan collassato con l’avanzata talebana si reggeva soprattutto grazie agli aiuti internazionali. Se dall’estero non dovesse arrivare più molto e se gli Usa dovessero decidere di non stornare più soldi a Kabul, le difficoltà per il nuovo emirato islamico talebano potrebbero essere tali da assistere a una destabilizzazione della situazione anche a livello sociale.
Le possibili mosse dei talebani
La Banca Centrale afghana è stata affidata dagli islamisti a quello che è possibile considerare come il loro “tesoriere”. Si tratta di Haji Mohammad Idris, di cui per la verità si sa molto poco. Alla Reuters un membro dei talebani l’ha descritto come una persona esperta di finanza, non ha compiuto però studi “ufficiali” in materia. L’ex governatore della Banca Centrale, Ajmal Ahmaty, è fuggito da Kabul poche ore dopo l’ingresso degli studenti coranici. In un’intervista rilasciata successivamente, ha dichiarato che la situazione nel Paese rischia di scivolare rapidamente verso il collasso: “Se pensate che il peggio sia passato – ha dichiarato alle agenzie occidentali a fine agosto – se pensate che la situazione all’aeroporto sia tragica, vi sbagliate di grosso. Finita la crisi militare comincerà quella economica. Con le banche chiuse, senza accesso ai finanziamenti stranieri, c’è da aspettarsi una catastrofe umanitaria e un’ondata di migranti”. Piazzare il loro economista di fiducia alla guida della Banca Centrale per i talebani è stata la prima mossa.
Ma ora i nuovi padroni di Kabul per sopravvivere devono fare ben altro e in fretta. La loro speranza più importante è riposta sulla Cina. I dirigenti del nuovo emirato si aspettano da Pechino i fondi necessari per rimettere in moto l’economia afghana, sopperendo alla mancanza degli statunitensi. C’è poi il discorso relativo al Qatar, il cui governo negli anni è stato il principale mediatore tra il movimento e la comunità internazionale. Anche da Doha i talebani si aspettano le somme necessarie per dare risposte immediate alla popolazione. Tuttavia senza l’appoggio di una buona fetta della comunità internazionale per gli islamisti non sarà semplice gestire il ramo economico. Da qui la richiesta anche ai Paesi occidentali di riaprire le ambasciate a Kabul. La partita economica sarà quella più importante. E l’impressione è che si è ancora soltanto all’inizio.