Deutsche Bank sta affondando sotto i colpi di una gestione scellerata, degli errori operativi, della debolezza del suo management e degli scandali giudiziari che ne hanno prosciugato i fondi e annichilito la credibilità: assieme al colosso di Francoforte, che ha di recente annunciato una terapia-shock e un graduale ritiro dai settori a più alto rischio legato all’investimento, è minata la credibilità del sistema finanziario tedesco, gestito da Berlino come una monade nel contesto europeo, e la prospettiva della finanza del Vecchio Continente.

In Deutsche Bank vengono a galla asimmetrie e contraddizioni. Tra le prime: quella tra la forza di un sistema economico (nel caso, quello della Germania) e l’incapacità della sua principale banca di acquisire rilevanza sistemica e quella tra la percepita affidabilità del sistema Paese tedesco e il graduale degrado di quella di Deutsche Bank, che ha visto la sua capitalizzazione polverizzata e il suo nome associato al grande scandalo Danske Bank. Tra le seconde, invece, l’omessa vigilanza della Banca Centrale Europea, a lungo solerte, per non dire farisea, nei confronti dei crediti deteriorati delle banche italiane e taciturna verso la massa di derivati tossici che riempiono i bilanci di Deutsche Bank, a cui si aggiunge una riflessione a tutto campo sulla condotta della Germania: prima nazione a ribadire il rispetto delle regole comunitarie ma, al tempo stesso, avvezza a tutelare il primato della politica e un’ostentata diversità nei settori in cui la prima potenza d’Europa ha più comodo a ignorarle.

Il malessere di Deutsche Bank coinvolge anche altri big europei come Hsbc, Societé Generale e Ing, che hanno gradualmente avviato il ritiro dal settore delle banche d’investimento, dove hanno ottenuto risultati negativi o peggiori delle aspettative, lasciando in questo campo libertà d’azione alle banche americane. Le quali si preparano a riconquistare l’Europa. Come scrive Linkiesta, “il ritiro di Deutsche Bank dalla finanza pura e dura lascia campo aperto alle banche americane che si presentano oggi ben più forti e aggressive dopo la cura da cavallo del 2009 e dieci anni di crescita ininterrotta di Wall Street e dell’economia statunitense. Morgan Stanley e Goldman Sachs in particolare si sono lanciate sul mercato europeo lasciato libero, scrive il Wall Street Journal, raccogliendo un gran volume di affari e profitti. Le banche europee, a cominciare proprio dalla DB, hanno un vero e proprio svantaggio competitivo anche perché dopo la crisi del 2008 hanno voluto evitare la cura da cavallo imposte invece alle banche americane. La responsabilità ricade non solo sui vertici bancari, ma soprattutto sui governi”, che in rare occasioni hanno espanso al credito bancario la loro azione interventista.

La vigilanza della Bce, in questo contesto, ha svolto un’azione dura verso diverse forme di intervento statale a sostegno del sistema deteriorato (come nella decisione, poi ribaltata in sede giudiziaria, su Fitd e Tercas) senza al contempo puntellare le prospettive d’azione dei suoi maggiori attori finanziari. La sconfitta europea rispetto ai concorrenti di Oltre Atlantico, in questo settore, è stata notevole: e agli Stati Uniti ora non sembrerà vero di poter sfruttare praterie aperte per espandere l’azione dei propri attori nei mercati dei capitali del Vecchio Continente, nella partecipazione ad imprese, fondi, istituzioni di risparmio, nel condizionamento delle strategie d’investimento dei governi. Avendo chiuso gli occhi per anni, l’Europa, o forse sarebbe meglio dire la Germania, si è dimostrata passiva in un ulteriore settore cruciale per l’economia dell’era globalizzata. Tanto che sul Financial Times da tempo si discute sull’eventualità che Goldman Sachs possa, in futuro, acquistare Deutsche Bank: sul lungo periodo un’eventualità non da escludere se l’erosione americana dei mercati d’investimento delle banche europee continuerà.

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