A cinque mesi dal suo insediamento il governo Draghi ha già operato, laddove possibile, una discontinuità operativa, programmatica e strategica rispetto al precedente esecutivo di Giuseppe Conte in diversi settori chiave per la vita del Paese. Partendo dalle vaccinazioni, accelerate col generale Francesco Paolo Figliuolo, e arrivando al Piano nazionale di ripresa e resilienza finalmente messo a terra in forma compiuta e strategica, attraverso il ristabilimento di un ordine operativo e di governance in partecipate pubbliche e intelligence, il governo Draghi ha ridisegnato la mappa del potere in Italia, responsabilizzato burocrazie strategiche, avviato cambiamenti strutturali. Il tutto nel quadro di un chiaro posizionamento dell’Italia in campo atlantico e del rilancio di un ruolo chiave in Europa.
Nel quadro di partite tanto complesse, insomma, Draghi va ben oltre la figura di tecnico che, del resto, mal si concilia con chi ha avuto una profonda sostanzialità con la politica durante l’intera sua carriera da boiardo di Stato e banchiere centrale. L’azione è di ampio respiro, strategica. Ma gli scogli da affrontare e da doppiare con attenzione non mancano. Nel quadro del suo spazio di riferimento, infatti, Draghi si trova a dover valutare le conseguenze di ogni azione e ogni minaccia politica sia sul fronte interno che su quello internazionale. In primo luogo per il legame diretto tra la tenuta della sua coalizione e la possibilità di continuare a guidare dalla cabina di regia di Palazzo Chigi i dossier più strategici; in secondo luogo, per potersi sempre presentare alle cancellerie internazionali come leader con in mano i destini politici dell’Italia; terzo e ultimo punto, perché la volontà di rilancio dell’appeal globale dell’Italia come meta di investimenti e opportunità di sviluppo passa anche e soprattutto per la concretizzazione di riforme e progetti di medio-lungo periodo.
Il nodo banche
Non sono pochi i dossier bollenti che possono minare, nei mesi a venire, l’azione di un esecutivo che dovrà concentrarsi sulla prevenzione di una nuova ondata di Covid e sulla programmazione strategica dello sviluppo attraverso Pnrr e manovra finanziaria. Chiarita la questione del blocco dei licenziamenti e superata la fase dei ristori, delle partite aperte a inizio era Draghi resta in sospeso, in primo luogo, quella delle banche. Il comparto nazionale sta venendo, in questi mesi, interessato dalle dinamiche di consolidamento che puntano a creare poli in grado di portare lo stesso set di competenze e un livello di stabilità paragonabile a quelli dei top player (Unicredit e Intesa) sul mercato. Parimenti, in ogni caso, le operazioni di consolidamento, fusione e acquisizione dovranno essere valutate con attenzione dal governo, specie considerata la presenza di forti appetiti stranieri, come quello della francese Credit Agricole, nel comparto finanziario italiano.
Vi è poi la questione di Monte dei Paschi di Siena, il cui ritorno in campo privato dopo gli anni di supplenza del Tesoro è ancora tutto da definire. Nel quadro del consolidamento nazionale, il polo principale che potrebbe avere interesse a incorporare Mps è il secondo attore nazionale, Unicredit, ma come spiega Tag43 l’ad di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel è scettico: “le ritrosie dell’ad di Unicredit a procedere spedito su Mps non sono legate a quel che potrebbe trovare nei cassetti più nascosti dell’istituto, ma alla sovrabbondante dotazione di sportelli cui dovrebbe far fronte in caso di fusione. Rischia di ritrovarsi nelle stesse condizioni di Cimbri dopo l’assalto di Intesa a Ubi, con oltre 500 filiali da sistemare”. Un problema spinoso che, nel frattempo, lascia Mps a gravare sul bilancio pubblico e a essere una pericolosa mina dato il particolare interesse dei membri dell’ex coalizione giallorossa per Rocca Salimbeni.
La partita in Europa
Sulle banche una parte della sfida si gioca anche nel contesto comunitario, laddove l’Italia spinge per una riforma vicina alle sue richieste sul campo dell’unione bancaria. Germania, Olanda e altri Paesi meno aperti al mondo finanziario mediterraneo chiedono che la riforma avvenga limitando le prospettive per le banche europee riguardo l’esposizione sui titoli di Stato.
Questa condizione è ritenuta inaccettabile dall’Italia e dal premier, che da ex banchiere centrale sa quanto impegnarsi su un campo del genere costerebbe in termini di rischi e di volatilità sui bilanci degli istituti nazionali. La partita resterà nel congelatore fino alla fine del ciclo elettorale tedesco e della formazione del nuovo esecutivo: ma resta una spada di Damocle non secondaria la cui caduta va assolutamente prevenuta.
La mina giustizia e le riforme
Sul fronte politico interno, nei mesi a venire sarà sicuramente la riforma della giustizia a tenere banco. Marta Cartabia ha presentato le sue linee guida in termini di nuovi tempi per i processi, gestione dell’istituto della prescrizione e accorgimenti vari e, in questo senso, i referendum lanciati dalla Lega e dai Radicali e sostenuti da Forza Italia e da parte del Partito Democratico, con Italia Viva ancora non schierata ma salda sulla linea garantista, forniscono alla Guardasigilli un vero e proprio appoggio esterno.
Draghi e la Cartabia puntano fortemente su una riforma che è un perno cruciale per il riassetto del Paese in chiave di applicazione del Pnrr, ma devono guardarsi dalla possibilità che un’implosione del Movimento Cinque Stelle causi ritardi, lotte politiche, ostacoli interni alla maggioranza. Portavoce del giustizialismo e del giacobinismo, i pentastellati malvedono il garantismo della riforma Carabia. E sul fronte sono pronti a dare battaglia, specie considerato il fatto che tra gli alleati più stretti del leader in pectore Giuseppe Conte vi è quell’Alfonso Bonafede padre della complessa (e in parte dannosa) riforma messa in campo negli scorsi anni.
La via delle riforme, nel triangolo di Draghi, è quella più complessa. Perché chiama a ampie e faticose concertazioni coi partiti; perché impone cronoprogrammi certi; perché porta il governo a dover comunicare in maniera chiara e netta, per evitare connotati problematici a una parola che, specie nell’era Monti, è stata utilizzata per edulcorare manovre depressive o di austerità. Non sarà così in questo caso, come non sarà così sul fronte del rilancio del pubblico impiego e della riforma della Pa, ma l’agenda Draghi dovrà essere ben connotata politicamente e comunicativamente. Anche, se non soprattutto, per rintuzzare la fronda grillina. La sfida per creare una nuova economia sociale di mercato come auspicato da Draghi passa per il doppiaggio di scogli che affioreranno nelle prossime settimane. E su cui Palazzo Chigi deve sperare di non incagliarsi. Arenandosi nelle secche di negoziazioni e dibattiti politici snervanti mentre un Paese attende certezze.